Quanto costano e quanto servono gli armamenti

Parlamentari, governo e associazioni discutono della necessità di dotarsi degli F35. Intervista a Maurizio Simoncelli, uno degli studiosi del centro di ricerche Archivio Disarmo.
maurizio simoncelli

Cacciabombardieri, i costi per acquistarli continuano ad aumentare. Nonostante la crisi, l’Italia conferma le commesse, ma sono davvero necessarie? Ne parla il professor Maurizio Simoncelli, uno dei principali studiosi “Archivio Disarmo”, autorevole centro di ricerche internazionali attivo in Italia da oltre 25 anni.  

 

Per l’ennesima volta è in atto il tentativo di cambiare la legge italiana 185/90, sul controllo del commercio e la produzione di armi. Come direttivo della Rete italiana disarmo ne avete discusso con il generale Picchi, consigliere militare del governo. Toni civili e pacati, ma il dissenso è sempre molto forte. Perchè? Non si tratta, in fondo, di adeguarsi ad una normativa europea? 

«Sono passati venti anni dall’approvazione della legge 185, che sottopone le esportazioni al controllo del Parlamento e ad eventuali divieti connessi a forniture ai Paesi in guerra, con regimi dittatoriali o dove non sono rispettati i diritti umani. Con essa sono state bloccate esportazioni che nel passato erano state indirizzate a regimi razzisti o dittatoriali come quello di Saddam Hussein. Essa prevede una serie di controlli a livello nazionale, ma, dato che ormai molte produzioni avvengono a livello di consorzi europei, di società multinazionali ecc., è certamente necessario che la normativa si evolva e venga integrata anche da nuove norme relative ai mediatori (brokers), che dall’Italia possono muovere nel mondo partite di armi senza incappare nei controlli delle nostre leggi. Questo, però deve avvenire attraverso un pubblico ed adeguato dibattito ad opera del nostro Parlamento, senza una delega in bianco all’esecutivo (con il disegno di legge delega proposto), e mantenendo le caratteristiche di trasparenza e di controllo della nostra legge, che rimane tra le più avanzate a livello mondiale».

 

Ormai anche negli Usa stanno crescendo i dubbi sull’acquisto dei caccia bombardieri Jsf35. Come si spiega il sostanziale accordo trasversale esistente nei governi italiani che si sono succeduti in questi anni? 

«Il progetto è stato avviato durante un governo di centrosinistra (D’Alema) e portato avanti dai vari governi succedutisi (Prodi e Berlusconi) nell’ambito della cooperazione industriale con gli USA sotto la crescente pressione dell’industria militare. Recentemente il gigante dell’industria militare Lockheed Martin ha ammesso che il programma per il cacciabombardiere F35 Joint Strike Fighter (circa 155 milioni di dollari ad aereo) sta subendo rallentamenti per costi crescenti e anche per grossi problemi tecnici ed industriali. L’Italia, le cui finanze sono in crisi da vari anni, si è impegnata – mentre si tagliano i fondi alla sanità, alle scuole, all’università, ecc. – da un lato a comprarne 131 esemplari per ben 13 miliardi di euro, dall’altro anche ad entrare nel consorzio europeo per la produzione dell’Eurofighter 2000 (Gran Bretagna, Italia, Germania e Spagna), un caccia dalle prestazioni analoghe a quelle dell’F35 (per noi ordinati quasi 100 esemplari). Stiamo sempre con i piedi in due staffe, impegnati sia con i partner europei, sia con il gigante statunitense, senza badare a spese. Mai come in questo momento tali spese appaiono un’evidente sottrazione di risorse alla società civile».

 

 

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