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Quanto conta il dissenso contro la guerra?

di Carlo Cefaloni

Carlo Cefaloni

La catastrofe in corso a Gaza smuove appelli, dichiarazioni e petizioni on line, mentre i portuali di Genova ribadiscono fisicamente il loro “no” a far parte della filiera delle armi ricevendo il sostegno dell’amministrazione comunale. Sta crollando il muro del fatalismo che prepara la guerra?

Genova sciopero contro il carico di armi 11 aprile 2025. ANSA/LUCA ZENNARO

La tragedia in atto a Gaza è straziante. Anche per le coscienze distratte da un certo tipo di informazione che non ha potuto più censurare notizie e immagini di veri e propri crimini contro l’umanità perpetrati dall’esercito sotto il governo israeliano di Netanyahu.

EPA/HAITHAM IMAD

Come afferma la lettera aperta alla Meloni, lanciata da alcuni diplomatici italiani «gli esecrabili attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 non hanno più alcuna relazione, né quantitativa né qualitativa, con l’orrore perpetrato nella Striscia da Israele nei confronti della stragrande maggioranza di civili inermi, che non ha nulla a che vedere con il diritto di Israele all’autodifesa e che non è affatto improprio qualificare in termini di pulizia etnica, mentre la Corte Internazionale di Giustizia esamina gli estremi del genocidio».

La consapevolezza di una tale iniquità, come in tanti casi, si associa spesso ad un senso di impotenza del singolo che avverte la propria incapacità nel poter mutare il corso degli eventi affidati, invece, agli arcana imperii, cioè alle segrete stanze dei poteri che decidono, magari in fastosi hotel in Qatar, sulla sorte dei popoli, mentre i bambini muoiono letteralmente di fame in attesa di aiuti fermati alle frontiere o addirittura mandati al macero.

Chi cerca di fare qualcosa è sempre una minoranza di persone, per quanto numerosa, che nell’era del web ha come forma di manifestazione la posizione pubblica espressa sui social, fino alle petizioni online, sul presupposto novecentesco che l’opinione pubblica sia in grado di incidere sulle scelte politiche dei governanti in cerca di consenso.

Ma tali modalità, pur se raggiungono migliaia di adesioni, restano ignorate da chi detiene il controllo dei principali mezzi di informazione e può contare sul mantenimento del consenso elettorale, confermato dai sondaggi seppur con riferimento alla quota sempre più ridotta dei votanti.

Anche le manifestazioni di piazza del secolo scorso sono state considerate poco significative da chi poteva contare sul consenso della maggioranza silenziosa (“piazze piene e urne vuote” secondo l’espressione riferita a Nenni dopo la sconfitta elettorale del 1948). Ma di sicuro avrebbe un forte impatto una manifestazione indetta in piena estate, il periodo dove si procrastina ogni impegno, davanti ad uno stato di fatto intollerabile.

Un segnale si è avuto con l’invito a suonare le campane delle chiese e radunarsi per fare chiasso alle 22 del 27 luglio, perché come recita la dichiarazione dell’Amu , «il silenzio non è un’opzione»

Alcune forme di esposizione pubblica rientrano tra le forme di disobbedienza civile quando coinvolgono direttamente le persone con atti pubblici come, ad esempio, la recente campagna lanciata da Raniero La Valle e altri di eleggere formalmente il proprio domicilio, esponendo i propri dati personali, in uno dei luoghi distrutti di Gaza come forma di riconoscimento di una terra che non può essere impunemente occupata o rasa al suolo con la deportazione dei suoi abitanti. Qui la proposta con l’indicazione delle modalità per aderire. 

C’è poi la campagna dell’obiezione di coscienza personale ad ogni forma di collaborazione con la guerra che è promossa dal Movimento nonviolento, fino a chiedere di recarsi nel proprio comune per rilasciare e protocollare una dichiarazione ufficiale in tal senso, a prescindere dal trovarsi o meno nella fascia di età della leva militare.

L’obiezione di coscienza appare in maniera eclatante e significativa con i giovani israeliani che rifiutano il servizio militare per non collaborare con il governo Netanyahu. Un fenomeno esteso anche ai numerosi riservisti in una nazione che richiede una continua partecipazione al servizio in armi da parte della popolazione, anche degli ebrei con doppia cittadinanza.

L’opposizione fisica alle pratiche disumane come il blocco al transito di aiuti alimentari diretti alla popolazione assediata di Gaza, è quella promossa dall’organizzazione Freedom Flotilla Coalition, che invia barche di volontari che cercano di aggirare il muro marittimo delle navi israeliane, esponendosi all’arresto e all’espulsione, come avvenuto con l’equipaggio partito con la nave Handala a metà luglio da Siracusa, con la partecipazione del giornalista e attivista messinese Antonio Mazzeo, arrestato e rispedito a Roma il 28 luglio. Stessa sorte è toccata a giugno per la flottiglia che ha cercato di compiere la stessa missione con a bordo Greta Thumberg, mentre nel 2010 l’attacco israeliano alla Freedom Flotilla Coalition provocò 10 morti e 26 feriti. Qui l’intervista video ad Antonio Mazzeo al momento dello sbarco dell’areo di ritorno a Roma.

Antonio Mazzeo, attivista e giornalista impegnato nella causa palestinese, rientra in Italia con un volo di linea da Tel Aviv, (Roma), 28 luglio 2025.
ANSA/ TELENEWS

La partecipazione alla guerra non avviene, infatti, solo tramite l’uso diretto delle armi, ma lungo tutta la filiera economica e finanziaria fino alla logistica e alle operazioni di trasporto delle merci, come dimostra il rifiuto dei portuali genovesi del Calp di  prestare servizio al transito di armi, così come riportato fin dall’inizio della protesta da Silvano Gianti, allora corrispondente di Città Nuova da Genova.

Un dissenso compiuto con i corpi dei lavoratori nella consapevolezza che, come hanno scritto nei loro comunicati, «il fiorente mercato della guerra inizia e passa anche da qui », cioè da quelle banchine del porto in cui, inaspettatamente, il 2 aprile 2022 il collettivo dei portuali ha ricevuto il sostegno pubblico di decine di associazioni di diversa estrazione culturale e anche quello ufficiale del vescovo di Genova, Marco Tasca, e della pastorale sociale della Cei con il plauso di papa Francesco.

Genova. Portuali contro le armi nel porto 2 aprile 2022 foto Massimo Sorlino

Questa manifestazione fisica, concreta e reale, si è poi replicata in atre città portuali italiane sempre con la partecipazione, ad esempio, dei vescovi di Napoli, Bari e Trieste con l’iniziativa “Fari di pace”, promossa per dare risalto al ruolo strategico delle infrastrutture marittime nella trasformazione progressiva richiesta dall’economia di guerra.

L’obiezione di coscienza dei portuali non può restare un bel gesto, singolo e isolato, perché il flusso delle armi non è destinato ad  arrestarsi  come dimostra, ad esempio, la mancanza di volontà politica nel sostenere la richiesta esplicitata anche dagli ambasciatori di «sospendere ogni rapporto e cooperazione, di qualunque natura, nel settore militare e della difesa con Israele».

Per tale motivo i portuali del Calp hanno promosso la mattina del 25 luglio 2025 un presidio davanti la sede del Comune di Genova per chiedere che «il nostro porto sia dichiarato «off limits per le navi dirette o provenienti da Israele, affiancandoci in questa battaglia di pace e di civiltà contro il genocidio in Palestina, così come per qualsiasi altro luogo di guerra». Nella stessa giornata del 25 luglio si è svolta «un’assemblea cittadina per denunciare il progetto di trasformare la diga foranea in una enorme infrastruttura di guerra grazie ai soldi stanziati per il riarmo e sottratti ai servizi essenziali».

Prese di posizione difficili, dunque, che espongono i lavoratori non solo alla perdita di retribuzione per lo sciopero (il prossimo è indetto per il 5 agosto), ma alle sanzioni previste dalle nuove normative che definiscono gli hub dei trasporti come luoghi sensibili per la protezione nazionale.

È perciò importante in tale contesto l’orientamento espresso dalla nuova giunta comunale di Genova che, con l’assessore Robotti, ha incontrato i rappresentati del sindacato Usb  per dichiarare la disponibilità a «farci portavoce in tutte le sedi istituzionali competenti con azioni che difendano i valori della pace e per vigilare sul traffico di armi illegale».

Un caso emblematico di come l’azione concreta, che espone fisicamente le persone a “non lavorare per la guerra”, riesca alla fine ad incidere anche sulle scelte politiche in un contesto internazionale sempre più difficile da controllare. Ne sono coscienti i lavoratori portuali che hanno convocato per il 25 settembre prossimo a Genova «l’assemblea internazionale delle sigle sindacali dei portuali europei che vogliono schierarsi contro la guerra», con l’obiettivo «di consolidare la rete di solidarietà e lanciare la prima giornata di iniziativa internazionale dei portuali europei contro la guerra».

Anche se appaiono scollegate tra loro, tutte le forme di espressione pubblica di obiezione alla cultura della guerra finiscono per concorrere a creare le condizioni per ribaltare l’assuefazione verso un ordine delle cose che non è affatto invincibile.

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