Quante stelle avrà l’Europa?

La bandiera azzurra con al centro una corona di dodici stelle pare ormai acquisita definitivamente dall’Unione europea. È facilmente riconoscibile e piace alla gente. Ora sappiamo anche che, ad ispirare l’artista che vinse il concorso per il suo progetto, furono le dodici stelle che incoronano il capo della Vergine Maria. Possiamo ritenere questo fatto come un auspicio fausto. Un tempo si pensava che il numero di queste stelle dovesse corrispondere a quello dei paesi dell’Unione, come è per la bandiera americana, ma presto si è dovuta abbandonare l’idea: sono diventati troppi questi paesi e il loro numero è in continua ascesa. La questione di fondo tuttavia non è certo quella della bandiera, ma del criterio con cui si dovranno continuare ad accettare le nuove richieste. Perché il vero problema è quello dell’identità dell’Europa, da cui discende la sua configurazione interna, ma anche esterna; la sua sostanza insomma, oltre che la sua forma e la sua estensione. Ci sono però alcuni paesi del Vecchio continente che sono ormai accerchiati da quelli dell’Unione. Per loro non è più una questione di se e di chi, ma soltanto di quando. Quando cioè arriveranno a far parte dell’Unione europea gli ultimi esclusi? Nel 2004 entrerà compatta la schiera che si allinea sul fronte orientale, insieme alle due isole di Malta e di Cipro, paesi che si sono preparati da una quindicina d’anni ormai, essendosi dati regimi democratici ed avendo raggiunto parametri economici di tutto rispetto. Poi toccherà a Bulgaria e Romania, i più poveri fra gli ex satelliti dell’Urss, ma non i meno degni, e ciò avverrà molto probabilmente entro il 2007. Se non consideriamo Svizzera e Norvegia, che avrebbero avuto i requisiti per fare parte dell’Ue fin dal suo sorgere, ma che hanno addotto motivi di convenienza per starsene fuori, restano ancora escluse, insieme all’Albania, le repubbliche uscite dallo sfascio della Jugoslavia. Di queste, solo la Slovenia ha già un piede nell’Unione. Per tali paesi, tuttavia, sarà soprattutto una questione di tempo. È stato notato che al recente vertice di Salonicco molti di loro avevano inviato propri osservatori, ma, non avendo alcun titolo per qualificarsi ufficialmente, sono stati di fatto ignorati. E tuttavia è evidente che l’Europa è insofferente di lasciare degli spazi vuoti al suo interno, quando ormai i grandi assi continentali di collegamento dovranno attraversare anche i Balcani. Ciascuno di questi paesi, del resto, ha già trovato un padrino per il proprio battesimo europeo (l’Albania si appoggia all’Italia, la Croazia alla Germania e così via). Ma la regione viene considerata ancora politicamente instabile. A molti osservatori appare addirittura evidente che ancora oggi, se nella Bosnia o nel Kosovo venissero ritirate le forze di intermediazione dell’Onu, non sarebbe da escludere il riaccendersi di ostilità etniche.Viene allora da chiedersi come sia possibile conciliare tutto ciò se non in tempi assai lunghi. Proprio in questi paesi, e precisamente in Croazia e in Bosnia, è tornato di recente Giovanni Paolo II con la tempestività che ha sempre contraddistinto i suoi interventi. Da tempo abbiamo imparato a seguire le intuizioni di questo papa che ha così profondamente inciso nelle trasformazioni e nello sviluppo dell’Europa verso la sua unità. Anche questa volta il viaggio è sembrato caricarsi di un valore profetico. Il suo invito è stato quello di purificare la memoria, di liberarsi di una storia incrostata di delitti e di sopraffazioni per giungere ad una riconciliazione piena partendo da una propria ammissione di colpa. Lui stesso, a nome dei cattolici, ha pronunciato quel “mea culpa” che già tanti passi ha fatto compiere sulla strada della riconciliazione. Potremo allora guardare a queste terre, le più martoriate dei Balcani, le più sofferenti ancora oggi, con quel rispetto che il dolore merita sempre; e pensare che esso potrà consentire di comprendere l’Europa alle più giovani generazioni che non hanno potuto avere una propria memoria storica di come sia nata l’Unione. Da quale strazio, da quali lacerazioni, proprio con l’intento di scongiurare il ripetersi di tutto ciò per il futuro. È questo, a mio avviso, il titolo primo che dà senso all’adesione all’Unione europea. È questo lo stigma che renderà capaci e degni i popoli dei Balcani di sentirsi una comunità fra loro e con gli altri dell’Europa tutta, e non certamente l’avere raggiunto più elevati parametri economici. Molti lo hanno già compiuto, questo passo verso la riconciliazione, ed è su queste basi che si vanno costruendo i nuovi regimi democratici. Personalmente, avendo potuto seguire da vicino e fin dal suo nascere quel terribile conflitto, ricordo di avere riconosciuto in esso il germe di una grande purificazione e di aver scritto su queste pagine che quei contrasti si sarebbero potuti stemperare soltanto nella nuova dimensione europea che si andava profilando. Ma quella logica di perdono e comprensione non è solo un traguardo da raggiungere per entrare nel consesso europeo, è una condizione necessariamente costante nei rapporti tra i popoli anche per restare nell’Unione.

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