Quali reti sociali per la fraternità?

La particolare configurazione relazionale delle dinamiche sociali. I nodi, i legami e l’influenza circolare tra di essi. Prima puntata di una riflessione sulle diverse sfumature che il concetto di rete possiede.
(AP Photo/Julius Constantine Motal)

A livello mediatico, sempre più spesso capita di sentir utilizzare la parola “rete” applicata alla vita sociale. In coincidenza con gli eventi pandemici in corso, possiamo dire, anzi, che questa parola sia diventata quasi emblema di un mondo caratterizzato da innumerevoli interconnessioni a tanti livelli, descrivendo in modo metaforico la vita sociale contemporanea segnata da fenomeni che, in un contesto sempre più complesso, interrogano sulle possibilità di una convivenza armoniosa e collaborativa.

Si tratta, nel caso della parola “rete”, di una metafora che di solito rimanda a significati positivi, legati al valore riconosciuto alle sinergie e alla necessità di orientare l’interdipendenza che caratterizza il mondo globalizzato in senso solidaristico e, richiamando il terzo principio su cui si è fondata la modernità, fraterno[1]. La rete, però, non sempre assume una forma che esprime questa modalità di essere in relazione e non sempre lascia transitare contenuti carichi di una aspirazione a quel tipo di relazionalità: anche i gruppi terroristici organizzano le proprie attività in rete, ma non esattamente in vista di una convivenza universale pacifica, o i grandi poteri economici sfruttano molto le potenzialità delle reti, però non sempre facendo attenzione a rafforzare o dar vita a relazioni egualitarie.

Per riflettere sulle diverse sfumature che il concetto di rete possiede, può essere interessante considerare che in esso, oltre che metafora di una vita sociale complessa e interdipendente, si racchiude anche una prospettiva scientifica, teorica e analitica, originale che vede nelle relazioni sociali «non solo l’oggetto specifico [di analisi], ma anche l’elemento fondante del sociale»[2]. Si tratta di una prospettiva che permette di osservare criticamente le dinamiche sociali, le istituzioni, i contesti in cui viviamo, dalla città, all’impresa, alla scuola, alla famiglia ecc., prestando attenzione alle diverse qualità che la relazionalità umana può assumere, nei suoi chiaro-scuri.

E da questo sguardo anche immaginare “strategie” concrete che permettano di avviare politiche e azioni capaci di privilegiare lo sviluppo di alcune forme di relazionalità, come la fraternità, piuttosto che di altre.

Da questa specifica prospettiva la fraternità potrebbe essere intesa come una particolare “configurazione relazionale” – si direbbe tecnicamente – cioè una forma che l’insieme delle relazioni in cui siamo immersi assume, di cui la parola rete può essere sinonimo a seconda, però, della qualità dei contenuti racchiusi nei legami di cui si compone e delle motivazioni all’agire dei suoi membri.

In particolare, la fraternità potrebbe essere pensata come una rete dalla forma non gerarchica, tendenzialmente densa, cioè priva di membri isolati, con legami reciprocamente orientati, dai contenuti più vari in termini di oggetti che vi transitano, animati da motivazioni non strumentali, ma attente alla relazione quale bene in sé.

Questi sono solo primi spunti da cui prende avvio una riflessione che sarà suddivisa in altre due tappe e che vorrebbe offrire alcune suggestioni per cogliere nelle dinamiche sociali che viviamo e osserviamo la forma relazionale della fraternità, alla luce di questa particolare prospettiva centrata sul concetto di rete sociale, tenendo conto dei suoi elementi costitutivi: i “nodi”, che sono punti (singole persone o soggetti collettivi, come Stati, famiglie, scuole, associazioni) collegati da linee, che sono i “legami” che nel loro intreccio costruiscono la “rete” nel suo complesso, elementi analitici su cui è possibile riflettere con uno sguardo attento alle diverse possibilità qualitative che possono caratterizzarli.

Questo considerando sempre, a mo’ di sfondo, che esiste una reciproca influenza tra essi, che evidenzia la possibilità di una “circolarità” tra agire individuale e strutturazione sociale, che riconosce la possibilità di essere influenzati nel nostro agire dal contesto in cui siamo, ma anche, viceversa, di incidere almeno in parte con i nostri comportamenti in vista della costruzione della società e di particolari forme dell’essere-insieme.

[1] Come specifica A.M. Baggio in Il principio dimenticato, Città Nuova, Roma 2007, si tratta di un principio che lungo i secoli ha assunto una grande ricchezza di contenuti che va dal significato teologicamente “forte” nella cultura cristiana ad «una miriade di manifestazioni pratiche che partono dall’elemosina, al dovere dell’ospitalità e della cura, alla fraternità monastica che presuppone la convivenza e la comunione dei beni, fino a complesse opere di solidarietà sociale, che, soprattutto in epoca medievale e moderna, precedono i nostri attuali sistemi di welfare», fino ad acquisire, almeno idealmente, a partire dalla Rivoluzione francese, anche una dimensione politica e una valenza pubblica che la “colorano” di universalità.

[2] P. Di Nicola, La rete: metafora dell’appartenenza. Analisi strutturale e paradigma di rete, Franco Angeli, Milano 1998, p. 37.

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