Quale Giustizia?

Alcune riflessioni sulla riforma della giustizia verso il referendum abrogativo del 12 giugno
Giustizia. foto archivio apertura anno giudiziario Foto Piero Cruciatti / LaPresse

Forse mai come oggi, fra il cadere delle bombe e le drammatiche stragi di vite innocenti, si leva forte la domanda di giustizia, quella sostanziale attesa dai cittadini. Eppure la politica sembra far conto piuttosto dell’amministrazione giudiziaria e delle sue procedure.

È notizia recente l’intesa fra i capigruppo in Commissione Giustizia e la ministra Cartabia, sulla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Ma anche gli italiani sono chiamati a pronunciarsi attraverso i 5 referendum ammessi sui temi della giustizia.

Fra questi, uno è materia dell’accordo di maggioranza raggiunto, che affronta il nodo della “separazione delle funzioni” fra giudici e pubblici ministeri, ammettendo un’unica possibilità di passaggio dall’una all’altra funzione – a fronte delle 4 attuali. Potrà valere questa previsione a evitare il referendum che intende porre fine nella Magistratura al sistema delle cosiddette “porte girevoli”?

Non mancano slogan o spot per avvicinare i cittadini ai quesiti referendari: “limiti agli abusi della custodia cautelare”, “colpire” le correnti per scardinarne il sistema. O ancora: “un’equa valutazione dei magistrati” quale effetto del referendum a favore dell’estensione delle competenze dei membri “laici” nei Consigli giudiziari.

Ma altro sarebbe l’effetto indotto dal quesito abrogativo del Testo Unico noto come Legge Severino. L’abrogazione verrebbe infatti a travolgere con l’incandidabilità anche norme volte a impedire che persone condannate fra l’altro per reati di stampo mafioso possano ricoprire cariche elettive regionali e infiltrarsi negli enti locali.

È legittimo allora chiedersi se davvero può essere il referendum abrogativo lo strumento di autentica partecipazione, libera e soprattutto consapevole.

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