Se qualcuno ha coraggio alzi la mano

La perversione della comunicazione. Come il sistema mediatico (e non solo) alimenta la paura del diverso e genera disgregazione sociale
Migranti

La gente ha paura: ma di cosa?

Alla fine dell’estate uno dei più grandi quotidiani nazionali (la Repubblica) pubblica una serie di indagini statistiche sulla paura degli stranieri da parte degli italiani. Usa numeri e commenti autorevoli. Il 46% degli italiani si sente minacciato. Il sociologo Ilvo Diamanti chiosa, in margine all’indagine, che da dieci anni non si era registrato un dato così alto. Bene, il capolavoro è riuscito perfettamente.

Dopo che per alcuni mesi, con particolare dedizione durante quelli estivi, media nazionali, social, politici, uomini di presunta cultura si sono prodigati a spiegare che il nostro Paese è invaso dagli immigrati e che sono pericolosi e violenti, ora possono finalmente compiacersi dei risultati ottenuti. La gente ha paura ma non sa dire da cosa si senta minacciata. Pare avere dimenticato che sono molti altri i problemi che richiederebbero attenzione e interventi pubblici.

Flebile è la voce di chi ricorda che la gran parte degli immigrati, soprattutto se si parla di profughi di guerre e disastri ambientali, di donne e bambini, non sono un pericolo ma sono “in pericolo”.

Il loop dell’informazione

Il circolo perverso – politica, produttori di notizie e contenuti da divulgare (media), agitatori sociali – ha funzionato alla perfezione. Si è costruito con sapienza un allarme sociale, attingendo notizie (vere) dalla realtà ma amplificandole, si sono diffuse con insistenza e morbosa attenzione casi di violenza efferata, si sono offerti salotti a professori e intellettuali pronti nel commentare con sdegno quanto siano incivili gli italiani o quanto barbari gli stranieri.

Intanto con altrettanta sapienza si è fatto di tutto per screditare il prezioso lavoro di soccorso delle Ong nel Mediterraneo, si sono stretti accordi con Paesi decisamente antidemocratici e ambigui nella gestione dei flussi migratori (penso in primis all’accordo con la Libia del nostro ministro dell’Interno, con cui, di fatto,  abbiamo pagato per evitare le partenze dei migranti per qualche mese; i dossier e i reportage circolati in questi giorni sulla condizione dei profughi nelle carceri libiche dovrebbe indurci a pensare, cfr. Nello Scavo, su Avvenire del 3 settembre, per citarne solo uno), si tiene sotto silenzio la mobilitazione diffusa di associazioni e famiglie che provano a tradurre l’integrazione in percorsi positivi e condivisi.

Ciascuno di noi può decidere se essere una stupida tessera di questo gioco oppure se rovesciare il tavolo. Possiamo provare a uscire da questo loop.

Non possiamo non osservare che c’è sempre qualcuno che a tavolino decide di cosa parleranno i social (facebook e twitter) nelle prossime settimane, che silenzia volutamente alcuni temi (disoccupazione giovanile, disastri ambientali, crescita delle mafie, crisi del sistema scolastico) e ne amplifica altri.

La realtà e la sua narrazione

Questo ordine di argomenti, la paura dello straniero, la sua differenza, fanno leva su sentimenti primordiali. È un gioco da ragazzi generare allarme sociale, generalizzare, confondere, destabilizzare. È facile convincere gli impauriti che concedere la cittadinanza ad un bambino nato in Italia da genitori filippini o senegalesi è un pericolo per la nostra civiltà.

Agli argomenti più assurdi si crede, senza verifiche e senza informazione vera, quando si ha estremo bisogno di crederci. Il meccanismo del capro espiatorio ha sempre funzionato nella storia, dando da scrivere e da pensare a filosofi e sociologi di ogni tempo. Sono di volta in volta le streghe, gli ebrei, gli albini, i malati. L’oggetto estraneo di cui una società sofferente ha bisogno di liberarsi.

Se non vogliamo essere povere comparse di un gioco perverso, dobbiamo coltivare narrazioni e pensieri differenti, misurandoci con dati veri e dati di fatto.

La realtà è come la pensiamo e come la raccontiamo. Anche i numeri costruiscono la realtà, nel senso che tendiamo a sovrapporla con la sua rappresentazione. E si possono anche inventare facilmente.

Coraggio…

Si alzi qualche sociologo onesto a dire che un titolo apparentemente mite come “il 46% degli italiani ha paura” costruisce la percezione collettiva almeno quanto l’urlato slogan razzista invocato tutti i giorni da certa informazione volgare. La responsabilità non sta nel saperlo, ma nel dirlo e nei modi in cui lo si dice. Si alzi per dire che molto dipende da come formulo le domande (spesso suggestive), che più amplifico le paure e uso i linguaggi della pancia e più altri si sentiranno autorizzati a farlo.

Si alzi per spiegarci da dove nasce quella percentuale e cosa l’avrebbe generata.

Si alzi qualche giornalista onesto a spiegarci chi e come si decide, ogni mattina, la scaletta del proprio giornale. Se in tempi di campagna elettorale non convenga a tutti, destra e sinistra, dimostrarsi duri e intransigenti con gli immigrati, spostare lì l’attenzione della gran parte degli italiani.

Si alzi qualche economista onesto a spiegare con ostinazione il valore economico dell’immigrazione, resistendo alla pletora degli ignoranti che ignora la crisi demografica, economica, imprenditoriale del nostro Paese. E il suo inevitabile invecchiamento e declino. Anche in questo caso la forza dei numeri potrebbe spiegarci in quale modo funzioni il welfare, le pensioni, la sopravvivenza di alcune economie.

La gente scenderebbe in piazza se cominciassimo a parlare di rendite di posizione, di stipendi milionari, di mafiosi garantiti, di giovani del sud e del nord che emigrano come ai tempi dei nostri nonni per disperazione e fame, e con una laurea e un master in tasca. Ma parlare del colore della pelle dei bambini africani è molto molto più facile. Rispolverare il vecchio tema del razzismo, dare voce a pregiudizi e paure è una trappola facile.

Spostiamo l’attenzione sui problemi. Guardiamo più in là. Torniamo a capire cosa succede in Africa (come da mesi chiede Alex Zanotelli), cerchiamo di capire chi e cosa spinge i bambini africani e latino americani e asiatici a migrare da soli, leggiamo dietro i numeri del mercato delle armi, cerchiamo di capire il legame tra guerre, disastri ambientali e nuove migrazioni.

Forse troveremo più valide ragioni per avere paura e provare a reagire.

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