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Firme > Terra e cielo

Purifica il tuo cuore, poi seguilo

di Michele Genisio

Ad un certo punto negli anni, per una batosta o una malattia, viene da fare una sorta di bilancio della propria esistenza

«Ogni vita è un romanzo. Ma chi l’ha scritto? Io non ho dubbi: come Tommaso d’Aquino considera Dio la prima causa dell’intera catena di causalità, io credo che nulla succeda per caso, perché Dio è l’autore di tutte le nostre storie». Così scrive Hopcke. La penso allo stesso modo. Avendo ammesso che Dio c’è, non ho mai concepito di poter essere io il regista della mia esistenza.

Mia mamma, poco prima di entrare in agonia, disse: voglio dire qualcosa a ciascuno di voi. A papà disse: a te ci penso io. E infatti ci pensò. Lui, che aveva tanta paura a stare da solo, morì poco più di un mese dopo di lei. La loro storia è la più vicina che conosco a quella di Filemone e Bauci. Dopo aver detto qualcosa alle mie sorelle, a me disse: tu sei quello che ha sofferto di più e quello che gioirà di più. Quando pochi giorni dopo morì, alle tre del pomeriggio, l’orologio a pendolo della mia casa si fermò. Ancora oggi è fermo alle tre. Ho avuto spesso in mente le parole che mi ha rivolto mia mamma.

A volte, quando le cose sembravano mettersi bene, mi dicevo: ecco stanno per realizzarsi. Altre volte, quando quello che pareva bene non si dimostrava tale, mi chiedevo sconsolato: ma quando mai si realizzeranno? Confidavo queste cose a un’amica, che mi fece notare: ma sei proprio sicuro che non si siano realizzate? Forse ha ragione lei. Se guardo attentamente, in tutta la mia vita c’è stata bellezza. Ho conosciuto persone straordinarie, ho figli meravigliosi e nipoti, amici veri, ho conosciuto la vicinanza e la solitudine. A me ora resta solo una domanda: sono stato Michele come Dio mi ha pensato?

Oppure, usando il linguaggio di Hillman, ho realizzato il mio daimon? Quel qualcosa che mi fa unico, irripetibile, in tutti i secoli dell’universo? L’ho aiutato a svilupparsi o l’ho ostacolato? Oppure ancora, usando l’immagine di Chiara Lubich dei palloni gonfiati: ho gonfiato il mio palloncino in tutta la sua estensione? O è rimasto flaccido, informe, striminzito come una promessa sospesa? Solo i palloncini belli pieni, gonfiati al massimo, possono alzarsi in cielo. Oppure ancora, stando a quanto disse Brunetto Latini a Dante: ho seguito la mia stella? Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto. Io l’ho fatto?

Sono in difficoltà a rispondere. Sono stato attratto da re Davide, guerriero, poeta, santo, amante, a modo mio, nel mio piccolo, avrei voluto essere un po’ come lui. Ma non avevo in mano il suo gioco di carte. Il mio era ben più scarso. Ho fatto fatica ad accettare me stesso, pur sapendo che questo è il grande compito a cui sono chiamato, a cui tutti sono chiamati. Ho fatto quello che ho potuto. Credo che – con alti e bassi, tenendo il piede in sei scarpe, facendo un passo avanti e tre indietro, mettendomi nei guai e uscendone in modo rocambolesco –, ho comunque tentato di far crescere il mio daimon, il piano di Dio su di me.

In questo cammino mi sono accorto che conoscere sé stessi è importante, ma non è una cosa piacevole. Significa comprendere la propria bellezza, ma anche il proprio squallore. Se si pensa che un uomo straordinario come san Francesco, guardando dentro sé stesso, diceva che vedea il profondo  lacrimoso della mia viltà e miseria. Ho visto le mie bassezze, le mie meschinità, ho visto quanto male ho fatto ad altri. Chiedo perdono. Ho guardato dentro di me non per intimismo, ma perché convinto che solo essendo me stesso posso perdermi, e solo perdendomi posso amare.

Ho passato tanto tempo a chiedermi: qual è la legge che regola l’universo? I cristiani credono che sia l’amore. Ma guardando ai fatti che capitano nella natura, nella grande storia del mondo e nella piccola storia della nostra vita, viene spesso da ricredersi. Io la penso come Teilhard de Chardin, credo che la legge che regola il mondo sia l’evoluzione. È in essa che c’è il divino. Anche se è misterioso. L’evoluzione è una luce che illumina tutti i fatti, una curva che tutti i lineamenti devono seguire.

Credo che l’essere umano, e le società che crea, siano in continua evoluzione verso una meta finale di pienezza. Ma il percorso non è diritto, è tortuoso, avanti e indietro, con svolte brutali, a volte terrificanti. L’amore è il volto luminoso di questa legge. L’amore è la più universale, la più tremenda e la più misteriosa delle energie cosmiche.

Mi vengono in mente le parole del mistico islamico medioevale Ibn Arabi. Purifica il tuo cuore, poi seguilo. Ci ho messo del tempo, ma ho compreso che ha ragione. Non è vero che bisogna seguire il proprio cuore, come recita la narrazione odierna. Non è vero che bisogna seguire i propri desideri, come invitano a fare tanti psicologi e influencer. Mi sono accorto – e penso che diversi altri siano come me – che fatico a conoscere i miei desideri tanto sono arruffati, che sono confuso dal mio cuore, che mi ostino a perseguire con cocciutaggine bisogni disfunzionali che ritengo buoni e che invece dovrei abbandonare, che mi impegno a sognare cose che non fanno per me. Prima di seguire il proprio cuore è necessario purificarlo. Solo allora è bene seguirlo. Solo allora si può crescere in naturalezza, come cresce una rosa, senza sforzo.

Io non credo di aver fatto molto per purificare il mio cuore. Ci ha pensato però la vita, che a suon di fatti, di batoste e di malattie, ha detto la sua. Ci hanno pensato le persone che ho incontrato, quelle che mi hanno amato e quelle che mi hanno ferito nel profondo. Io ho accolto, come sono riuscito, questo lavorio. Spero di poter dire: è stata tutta bellezza. Spero di poter cantare con Erica Boschiero: è quando tutto si tace, a battaglia finita, che riconosci che è oro ogni ferita.

Di tutto ringrazio. Ma ora sono ancora in viaggio. E come un bambino in braccio alla mamma, mi abbandono alla vita che compie il suo corso. Certo che in esso c’è la volontà di Dio.

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