Promesse elettorali alla prova

L’Italia è terza in Europa per il peso della pressione tributaria. I programmi dei partiti propongono la riduzione di imposte e tasse senza tagliare livello e qualità dei servizi pubblici. Come e da chi verranno pagate? Una traccia per discutere

Quante tasse pagano gli italiani? L’Ufficio studi della CGIA di Mestre ne ha individuate un centinaio, fra imposte, sovraimposte, tributi, addizionali, accise, ritenute, contributi previdenziali.

Lo stato dell’arte

La più elevata è l’Irpef, la più diffusa nella quotidianità l’Iva, la più pagata dalle società l’Ires, la più odiata dalle imprese l’Irap e quella più odiata dalle famiglie la Tasi/Imu.

Ci sono poi quelle più stravaganti: dalle imposte sugli spiriti (distillazione alcolici) a quelle sui gas incondensabili, dalla tassa annuale sulla numerazione e bollatura di libri e registri contabili a tutte le sovraimposte di confine applicate dalla dogana (sugli spiriti, sui fiammiferi, sui sacchetti di plastica non biodegradabili).

Un sistema frammentato, che vessa cittadini e imprese con le sue tante scadenze fiscali. Una pressione tributaria (imposte, tasse e tributi sul Pil) divenuta insostenibile: in Italia è la terza più elevata dell’area Euro dopo Finlandia e Belgio, superiore di sette punti percentuali rispetto a quella tedesca.

Un podio ancora più negativo se si considera l’altra faccia della medaglia, ovvero il livello dei servizi che nel nostro Paese deve migliorare moltissimo. Secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, l’obiettivo di perseguire una riduzione della pressione tributaria è necessario e apprezzabile ma occorre che proceda in parallelo con il miglioramento del livello dei servizi e della loro qualità.

In altre parole meno tasse e più servizi: solo così il Paese potrà consolidare i segnali della ripresa e crescere su tassi in linea con quelli dell’area Euro che viaggia ad un ritmo decisamente superiore a quello dell’Italia.

Le proposte dei partiti

Il centrodestra con Lega e Fi in testa puntano sulla flat tax, ossia su una aliquota unica (per Salvini al 15 percento, per Berlusconi al 23 percento) che sostituirebbe quelle previste attualmente per l’Irpef. Un’operazione da circa 40 miliardi che, secondo i proponenti, verrebbero in parte recuperati grazie all’emersione del nero o dalla rivisitazione delle agevolazioni fiscali.

Anche Matteo Renzi spinge sulla leva fiscale oltre che sul mantenimento del bonus degli 80 euro. La proposta del Pd è però più “modesta” nei numeri (circa 15 miliardi) rispetto a quella del centrodestra e punta alla rimodulazione delle aliquote per favorire soprattutto le famiglie con figli.

E 15 miliardi vale anche il reddito di cittadinanza proposto dal M5s che verrebbe coperto aumentando le tasse su banche e assicurazioni e riducendo le attuali agevolazioni fiscali.

L’abolizione del Jobs act resta in cima alle priorità di Liberi e Uguali, il partito guidato dal presidente uscente del Senato Grasso. Anche il M5s condivide questo obiettivo.

Sia Pd che Forza Italia rilanciano, poi, anche sul costo del lavoro, puntando, con accenti diversi, a una nuova riduzione del cuneo che grava su imprese e lavoratori. Ad oggi è previsto uno sgravio triennale per chi assume giovani con contratti a tempo indeterminato. La proposta è di proseguire con un ulteriore taglio del cuneo di tre/quattro punti, da attuare gradualmente nel corso della nuova legislatura: un’operazione assai costosa, considerato che ogni punto di cuneo in meno sui nuovi contratti a tempo indeterminato vale circa 2,6 miliardi.

Il presidente Mattarella aveva richiamato i partiti al dovere di presentarsi in campagna elettorale con proposte “realistiche e concrete”, capaci di rispondere alla dimensione dei problemi del Paese. Scorrendo i canovacci dei programmi si ha l’impressione che quel monito non abbia prodotto effetti, perché le proposte dei partiti pare non tengano conto del permanere della situazione finanziaria, che ha nel nostro debito pubblico il dato più preoccupante.

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