Privilegiare i rapporti

Grande gioia sui volti. Un clima di festa pervade il centro del movimento. La mattina del 7 luglio è di quelle da ricordare, incorniciare, raccontare. Come, del resto, i giorni precedenti, che hanno maturato l’elezione della nuova presidente dei Focolari, Maria Voce, chiamata a raccogliere l’impegnativa eredità di Chiara Lubich, di cui è stata stretta collaboratrice. L’assemblea generale, con i suoi 496 partecipanti, oltre ad alcuni invitati, in rappresentanza delle comunità del movimento presenti in 182 Paesi, si è riunita per la prima volta dopo la morte della fondatrice. Gli statuti, approvati lo scorso anno nell’aggiornato testo, hanno fatto da guida; ma tutto era nuovo, tutto inesplorato, tutto da capire insieme, senza più la presenza illuminante e la parola sicura di Chiara. Siamo partiti con una grande comunione tra tutti – spiega la nuova presidente nella sua prima intervista in assoluto, concessa in esclusiva a Città nuova – e abbiamo cercato di capire il disegno di Dio su questo momento particolarmente importante del dopo Chiara. Ci era d’aiuto il suo testamento: il movimento sarebbe stato portato avanti da Gesù tra noi. La consegna valeva tanto più per eleggere la nuova presidente. Abbiamo cercato di mettere in pratica quell’indicazione di Chiara, anche con un particolare impegno nell’ascolto reciproco, sia in plenaria, sia nei gruppi. Ed è sembrato che si fosse costruita l’atmosfera giusta. Ma s’è rivelata non sufficiente. Cos’era successo? Al momento del voto si sono manifestati due orientamenti di fondo, pur nel condiviso desiderio di far propria la volontà di Chiara. Così, da una parte è emerso il desiderio di non innovare troppo per non rischiare di trasformare quanto Chiara aveva costruito, mentre dall’altro la consapevolezza che iniziava un’era nuova, che era necessaria qualche novità, manifestata anche da un cambiamento nelle persone negli organismi centrali. Nelle tre votazioni di sabato 5 luglio s’è verificata questa polarizzazione. In sé, poteva essere una situazione normale, da comporsi tramite una serie di dialoghi per arrivare ad un onorevole compromesso. Il racconto della nuova presidente si fa confidenza: Ma proprio noi, per il carisma dell’unità, avvertivamo che non ci bastava giungere ad un compromesso. C’era chiesto di salire sino a quell’unità d’anima tra tutti i partecipanti all’assemblea che poi si sarebbe espressa anche nel convergere delle votazioni sull’una o l’altra persona, non importava chi. Così è stato deciso di fare un giorno di sospensione, proprio la domenica, e di intensificare la comunione tra tutti. L’effetto è stato sperimentare la potenza trasformatrice del carisma dell’unità. E spiega: Non sarebbe stata d’aiuto nessun altra metodologia. S’è trattato d’essere pronti, ciascuno, a fare un’amnistia completa delle mancanze proprie, delle mancanze altrui e dei difetti che potevano esserci stati nella conduzione dei lavori sino a quel momento, disposti, per amore, a perdersi completamente l’uno nell’altro, senza più alcuna idea preconcetta, per ascoltare pienamente quello che lo Spirito voleva suggerirci. Nel delicatissimo passaggio, un ruolo determinante è stato svolto da don Pasquale Foresi, confondatore con Chiara. Lui ha sostenuto questa convergenza – sottolinea con riconoscenza Maria Voce -, facendo presente che il mandato della prima generazione era adesso quello di passare ad altri le responsabilità operative legate al patrimonio di vita, di luce e di sapienza che Chiara aveva donato ad essa, restando però come custode per sostenere e aiutare tutti. L’effetto? L’assemblea era perfettamente d’accordo. Adesso le brillano gli occhi. Rivive e riassapora quell’unità tra tutti ritrovata in pienezza. Il nodo si era sciolto. Abbiamo visto che la posizione di continuità e quella di innovazione non erano alla fine alternative, ma una sola posizione, perché in questo passaggio si aveva la massima continuità e la massima novità, perché era una novità che veniva dal cuore . In buona sostanza, tutti si sono sentiti continuatori di Chiara e tutti, nello stesso tempo, rinnovati dal carisma e da quest’intensa, indimenticabile esperienza d’unità. Come sarà presente Chiara nella tua presidenza? Chiedendo a lei momento per momento, come ho fatto in modo particolare in questi giorni, andando da lei, vicino alla sua tomba. Si dicevano tante cose: Chiara vorrebbe questo, Chiara avrebbe detto questo. E le sue frasi venivano anche interpretate. Per questo le chiedevo: Chiara, cosa vuoi adesso? Non dirmi quello che volevi sei mesi fa o un anno fa. Mi è sembrato che mi rispondesse: Ti ho sempre presentato una realtà sola, Gesù abbandonato. Voglio che tu lo ami pure adesso. In quel momento difficile, la mia risposta non poteva essere che un sì. E non mi sono sentita sola, perché in un’opera come la nostra, animata da una spiritualità collettiva, abbiamo amato insieme quella situazione di sofferenza, ne siamo usciti insieme e insieme abbiamo poi gioito. Quando ti sei accorta che stavi per essere investita da un’enorme responsabilità? Ho intuito qualcosa alla prima votazione, perché c’è stata una convergenza di voti sul mio nome, ma non pensavo che potesse accadere una cosa del genere. Quando, invece, è stato chiaro che in tutti era più forte il desiderio di costruire l’unità che non di scegliere l’una o l’altra delle candidate, allora mi sono convinta che stava per succedermi qualcosa di grande. Lo stato d’animo di adesso, qualche ora dopo l’elezione? Gioia. La chiamata a questo compito mi viene dalla volontà unanime dell’assemblea e quindi per me significa un’espressione della volontà di Dio. Ho sentito che non mi cambiava granché, perché se avevo scelto di dare la mia vita per l’Opera, non è che mi cambi poi tanto darla come presidente o con qualsiasi altro incarico. Quando è stato il tuo primo incontro con Chiara? Nella Mariapoli di Fiera di Primiero del ’59, verso la fine d’agosto. L’ho incontrata perché qualcuno mi ha chiesto di portare un magnetofono a casa sua. Confesso, però, che non ricordo tanto di quel primo incontro. Io avevo conosciuto da poco il movimento all’università di Roma e aveva avuto un impatto fortissimo sulla mia anima. Quindi anche l’incontro con Chiara è stato un continuare a sperimentare la bellezza di questa vita evangelica. Ho avuto netta l’impressione che fosse Gesù tra le persone ad aver fondato e guidato il movimento, non era un’opera concentrata in una persona. Io sono stata affascinata proprio dal fatto che nessuno mi aveva affascinata, da qualcosa che andava al di là di ogni persona, di Chiara stessa. Succedere ad una fondatrice del calibro di Chiara: compito arduo? Sicuramente. Difficile succederle, impossibile sostituirla. Impossibile pensare che al posto di Chiara venga un’altra che le assomigli. Nessuno può avere questo ruolo. Non è impossibile pensare, invece, che, con l’aiuto di Dio, di Chiara e di tutta l’Opera, si possa andare avanti e continuare a produrre del bene per la Chiesa e per l’umanità. Chiara ha detto che a succederle non sarebbe stata una sola persona ma un gruppo, un corpo. Emmaus, il nome datoti da Chiara, che rimanda ai due discepoli in cammino con Gesù, è un’indicazione in tal senso? Penso di sì. Lei ha detto nel testamento che lasciava la realtà di Gesù presente tra i suoi uniti nel suo nome, che è il significato di questo nome. L’unico mio desiderio è quello di costruire rapporti di unità profonda con tutte le persone dell’Opera a tutti i livelli, quindi anche a livello centrale, a livello di direzione, proprio perché non sia io a portare avanti l’opera di Chiara, ma sia quel carisma che lei ci ha donato. La storia della Chiesa insegna che più grande è il carisma più problemi ci sono dopo la morte del fondatore. Hai qualche timore? Spero che qualche volta la storia della Chiesa possa contare delle eccezioni (ride di gusto). Certamente si può avere paura a rivisitare quanto accaduto nei secoli, però la novità portata da Chiara è una spiritualità collettiva e sono convinta che ci aiuteremo in ogni passaggio. Ne sono una conferma i giorni che hanno preceduto la mia elezione. Ci aiuteremo nei gruppi, nei focolari, nelle comunità locali, in tutti i punti dove ci saranno due persone che vogliono realmente essere fedeli a Chiara. Lì ci sarà il suo carisma e lì potrà ripartire tutto, anche se altrove qualcosa può vacillare. I primi passi che intendi muovere? Non ho ancora avuto tempo per riflettere. Con i consiglieri centrali eletti dall’assemblea ci incon treremo per programmare i futuri adempimenti, le sostituzioni di alcuni responsabili, le nomine di nuovi e poi faremo un programma, direi intanto per un anno, dove ci sarà spazio per una conoscenza reciproca e una comunione con le varie diramazioni dell’Opera, con le realtà nazionali e locali. Ma non ho ancora in mente qualcosa di organizzato. Vorrai dare uno stile alla tua presidenza? Un mio stile? (Pausa). Privilegiare i rapporti. In un momento in cui c’è una necessaria sottolineatura dell’identità cattolica, il movimento è visto come un gruppo aperto, dialogante. Andremo avanti in questa direzione? Per arrivare all’unità, non si può non dialogare. E siccome il nostro scopo è realizzare l’unità, la fraternità universale, non potremo mai chiuderci. Sarebbe rinnegare il fine per cui Dio ci ha voluti. Andremo avanti, magari in mezzo alle difficoltà, ma saranno difficoltà da superare con una carità grande per tutti. Gli ultimi tre anni e mezzo di Chiara sono stati segnati da un calvario particolare. Quale apporto daranno al compito che ti aspetta? Significano avere visto, aver partecipato, aver costatato la grandezza di una vita donata sino alla fine. Io sono stata fortemente impressionata dal momento della partenza di Chiara, quando ci ha voluti rendere partecipi, senza riservatezza, dei suoi ultimi istanti. Mi sono trovata davanti ad una creatura che, perché Dio l’ha scelta per un carisma di questo genere, è capace di darsi anche nel momento della morte, di morire in unità con gli altri. Un insegnamento che era una conferma di tutto quello che Chiara ha fatto durante la vita, ma che in quel momento si manifestava con una potenza incredibile. GIANCARLO FALETTI ATTESI AD UN’ESPERIENZA INNOVATIVA Predomina una grandissima pace, con evidente percezione della mia piccolezza e della grandezza del compito che la copresidenza comporta. Giancarlo Faletti, focolarino, sacerdote da undici anni, succede ad Oreste Basso nel compito di affiancare la presidente. Una presidente laica e femminile e un co-presidente focolarino e sacerdote. Prosegue una delle novità introdotte da Chiara. Come ti accingi a viverla? È una esperienza nuova nella Chiesa, che trae la sua novità dalla presidenza femminile, legata al profilo mariano della Chiesa. Da questa specificità nasce anche la dimensione di unità e di trinità nel governo. Per questo l’Opera di Maria ha un compito unico e fondamentale nel cammino della Chiesa e dell’umanità. Il mio compito è vivere per l’unità con la presidente e per quanto ha in cuore, offrendo tutti i suggerimenti e gli apporti che possono essere utili a portare avanti il movimento. Nella tua esperienza in focolare, c’è anche Genova, da cui sono usciti due servi di Dio (Alberto Michelotti e Carlo Grisolia) e una venerabile (Chiara Luce Badano). Qual è la santità specifica che nasce dalla comunità del focolare? Ho vissuto con un profondo coinvolgimento personale la vita di tutti e tre quei giovani. Andavano incontro a Dio con l’anima di Chiara. La loro vita è il frutto di una spiritualità collettiva vissuta in un cammino personale immerso in un’esperienza comunitaria. Una presidente italiana e un co-presidente della stessa nazionalità. E la dimensione internazionale? L’assemblea generale ha eletto due italiani, è vero. Ma l’internazionalità non manca affatto tra i consiglieri generali, che aiuteranno a vivere l’incontro tra culture e sensibilità proprie delle varie aree del pianeta.

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