Prince: te lo do io, il disco!

Si intitola Planet Earth l’ultima impresa del piccolo principe di Minneapolis. Un mix ammaliante e imprescindibile di black pop e di rock, con testi che oscillano confusamente tra il mistico e l’ecologico. Col suo bravo corredo di creatività rutilante e di vezzi indisponenti, il signor Roger Nelson un tempo detto Prince, ha ancora il carisma dei caposcuola, anche se tocca aggiungere che la succitata imprescindibilità trova motivazioni soprattutto extra artistiche. Sì, perché questo disco corre il forte rischio d’aprire veramente una nuova era nella storia della musica. Addirittura, sì. Il perché è presto detto: complice l’inarrestabile crisi di vendite dei cd, per la prima volta un artista di fama planetaria ha deciso di… regalarlo! Letteralmente, sia pure come allegato a una rivista, il settimanale del popolare Daily Mail britannico. Risultato: il furbacchione s’è messo in tasca 750 mila sterline, e il Daily ha raggiunto il suo record storico di vendite. Quel che sembrava un azzardo (oltrecché un clamoroso sberleffo ai suoi discografici), s’è dimostrato invece una genialata destinata a fare d’apripista a mille altre. Al punto che dietro l’angolo potrebbe esserci la più chimerica delle speranze di ogni consumatore: musica gratis per tutti! Musica e canzoni non più come prodotti da vendere dunque, ma come gadget-omaggio, a spese di sponsor e multinazionali smaniose di ritorni d’immagine. In altre parole, l’era dei mega-festival gratuiti trasposta in ambito discografico. A mali estremi, estremi rimedi… E siamo solo all’inizio. La Shell sta già trattando l’acquisizione dell’intero catalogo Cgd-Warner, ed altri colossi, dalla Nokia alla Mc Donald, s’apprestano a scendere in campo. E con loro anche i mammasantissima del pop, da Paul McCartney a Peter Gabriel, da Madonna a Robbie Willams. È solo questione di tempo: poco, visto che già oggi il 30 per cento dei proventi discografici dipende da introiti che esulano dalle attività convenzionali. Una svolta epocale certo, che tuttavia solo i più ingenui non sapranno catalogare come l’ennesima apparente mutazione del consumismo: dove nulla si regala beninteso, ma tutto si può pagare in mille modi diversi. L’ADDIO DI CHIEFFO Ci ha lasciati in splendido sincronismo con l’ultimo Meeting di Rimini, dopo un calvario di due anni dovuto ad un male incurabile. Claudio Chieffo, il più celebre tra i cantautori cattolici italiani, se n’è andato lasciando in eredità oltre cento canzoni, una decina di dischi, tremila concerti, tre libri. Aveva iniziato agli albori del beat e dei primi cantautori impegnati: Dylan in America, gli chansonniers in Francia, i De Andrè, i Gaber, e i Guccini, da noi. Anche lui ha provato a cantar la vita senza infiocchettarla, ma con un approccio molto diverso dai suoi più blasonati colleghi: quello dato dalla Fede e dal Cristianesimo (decisivo, nel suo caso, l’incontro con don Giussani, fin dai prodromi del movimento Comunione e liberazione). Una carriera sempre coerente, sobria e limpidissima, sempre in salita e controcorrente, nel solco di quel folk d’autore ansioso di Verità e d’Assoluto, che gli valse la stima e l’amicizia di colleghi di tutt’altre sponde: Nelle sue canzoni – dichiarò tempo fa proprio Gaber – c’è un’onestà, una pulizia, un amore naïf che fanno pensare. Incurante delle mode e delle indifferenze del music-business, il buon Claudio ha tirato dritto: alternando brani di sapore liturgico (Lui mi ha dato i cieli, Io non sono degno, e Il Signore ha messo un seme sono tutt’ora dei classici in moltissime parrocchie italiane), ad altri con chiare implicazioni sociologiche, come le celebri Il popolo canta la sua liberazione e Martino e l’imperatore. Arrivederci Claudio, ci mancherai: anche a chi t’ha sempre snobbato.

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