Primo maggio. La festa, i riti e il senso

Nel giorno della festa del lavoro non c'è solo il “concertone”, che quest'anno ha come titolo “Musica per un mondo nuovo”. Il legame sociale alla prova della precarietà della vita
concerto primo maggio

Ogni festa ha bisogno dei suoi riti che tendono a durare, anche se rischiano di perdere il significato originario. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro sospese, ad esempio, il 2 giugno l’usanza di celebrare la Repubblica democratica fondata sul lavoro con una marcia militare, ma mezzi corazzati e inni patriottici sono tornati, con i suoi successori, a sfilare nello stradone inventato dal regime mussoliniano accanto al Colosseo.

Da tempo molti si chiedono se non sia fuorviante organizzare il grande concerto del primo maggio nella piazza di san Giovanni in Laterano. Di fatto la grande kermesse canora (nella foto, una vecchia edizione della manifestazione) attira sempre un pubblico giovanile, come tanti altri grandi eventi dello spettacolo organizzato, ma rischia di mascherare la realtà. Tante iniziative, più vicine alle vertenze del lavoro e della sua drammatica mancanza, nascono spontaneamente come il Mayday dei precari a Milano o il "contro-concerto", organizzato dai “cittadini lavoratori liberi e pensanti” che quest’anno si svolgerà a Taranto, città simbolo delle troppe contraddizioni italiane.

Si diffonde così il bisogno di andare oltre il meccanismo e la rappresentazione dei noti volti televisivi per reagire al lento svuotamento di senso di una festa. Basta andare nelle vie della stessa capitale e dei suoi diffusi centri commerciali per osservare i negozi aperti che contraddicono la necessità di conquistare un tempo condiviso di riposo e di festa. Cavarsela con la libertà di scelta vuol dire ignorare la mancanza di opzioni alternative per una commessa o una cassiera. Del resto abbattuto il limite del lavoro domenicale (“siamo sempre aperti!”) tutto il resto diventa una conseguenza inevitabile. Paradossalmente questa piena signoria del tempo da parte delle esigenze del consumo non comporta aumento dell’occupazione, ma solo un’estrema flessibilità di una forza lavoro in gran parte precaria perché sprovvista di ogni altra forma di reddito.

Una buona chiave di lettura si può ricavare dalla bella intervista che Marina Corradi ha fatto su Avvenire a Paola Bonzi, la fondatrice del noto centro di aiuto alla vita che opera all’interno del’ospedale Mangiagalli di Milano che rischia di chiudere per carenza di fondi. La gran parte delle 2 mila e 700 donne che chiedono sostegno per scongiurare l’aborto raccontano di condizioni di lavoro estremamente incerte che sono un ostacolo alla loro gravidanza. Esiste così un carico di sofferenza interiore che rischia di trovare la disperazione individuale come unica forma di espressione. Come il senso di colpa degli uomini e donne di mezza età espulsi dal lavoro senza alcuna possibilità di ritrovare uno spazio di dignità e riconoscibilità sociale.

Il primo maggio resta perciò fedele all’esigenza di un legame capace di affrontare le sfide di una globalizzazione senza regole, come testimoniano i morti delle fabbriche tessili del Bangladesh fornitrici di note marche commerciali, alla ricerca di una fraternità dove non esistono servi e padroni. Proprio il titolo del “concertone” del 2013 parla della “Musica per un mondo nuovo”. Quale idea di mondo nuovo abbiamo in comune? Porsi la domanda e trovare le risposte non è affatto questione retorica. Dipende da noi.

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