Primo Levi numero 174517

100 anni fa nasceva il grande scrittore torinese. 150 anni fa il chimico russo Dmitri Mendeleev pubblicava il “sistema periodico” degli elementi. Cosa hanno in comune?

100 anni fa nasceva a Torino Primo Michele Levi. 150 anni fa il chimico russo Dmitri Mendeleev pubblicava il “sistema periodico” degli elementi. Che c’entrano l’uno con l’altro questi due anniversari? Molto. Accomunati come sono dal mistero della poesia. Primo Levi era un chimico. E scriveva: «Vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi: e quindi il Sistema Periodico di Mendeleev […] era una poesia». Mendeleev aveva colto la poesia della materia. Aveva carpito la sua musica, compreso che i simboli degli elementi potevano essere posti come note sul pentagramma. Aveva colto il segreto del loro ritmo, del loro periodo. E lo aveva rappresentato in una tabella. Primo Levi era un chimico, ed anche un poeta. E quasi come debito di riconoscenza verso il celebre chimico scrisse poi un romanzo straordinario, Il Sistema Periodico, appunto.  Che la Royal Institution del Regno Unito proclamò il miglior libro di scienza mai scritto. Argon, Potassio, Ferro, Carbonio, Arsenio, Argento… con il titolo di ventun elementi chimici si snocciolano i ventun racconti di Levi, quasi tutti autobiografici, qualcuno di fantasia. Bellissimi. Basta ricordare Ferro. Storia di una amicizia forte come il ferro. E pure di ferro sembrava essere fatto lui, Sandro Delmastro, suo compagno d’Università, muscoli tesi nel corpo asciutto, franco e solare, tutt’uno con la montagna. Fu ucciso da un quindicenne della repubblica di Salò.

Primo Levi fu contagiato dall’amico, s’accese in lui l’amore per la montagna. Tra i monti fu partigiano. Poi i fatti presero una brutta piega.  Il 22 febbraio 1944 fu catturato e assieme ad altri 650 ebrei fu deportato su un treno merci verso il campo di sterminio di Aushwitz. Lì non fu più Primo Michele Levi. Divenne come gli altri detenuti, una cosa, non più un uomo. «Considerate se questo è un uomo /che lavora nel fango / che non conosce pace / che lotta per mezzo pane / che muore per un sì o per un no… ». Lui in quell’inferno era la cosa numero 174517. Numeri tatuati sul braccio, visibili. Nell’anima rimase tatuata quell’esperienza sconvolgente, invisibile ma indelebile. «Tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». Molti anni dopo Benedetto XVI in visita ad Auschwitz-Birkenau esclamò: «Perché, Signore, hai taciuto?». Tanti leaders religiosi in quel posto di orrore hanno proferito parole analoghe, intrise da uno sbigottito silenzio.

Primo Levi scoprì poi ancora la poesia. Contraddicendo l’affermazione di Adorno: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie». La sua poesia fu Il sistema Periodico. Il suo canto del cigno. L’anima del chimico si unì a quella dello scrittore-poeta. Poi nel 1987 morì per una caduta dalle scale, forse. Per un suicidio, forse. Un volo.

 

 

 

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