Primavera a Scolacium

In visita ai resti della città di Cassiodoro, ora un parco archeologico che alle attrattive storico-artistiche abbina quelle naturalistiche.
Teatro romano di Scolacium foto di Marcuscalabresus - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=98097002

Ne è passata di storia su questa costa calabra del golfo di Squillace, in virtù della sua posizione strategica nel punto più stretto della Penisola! Una storia millenaria che sui fertili territori bagnati dallo Jonio ha visto succedersi greci, brettii, romani, bizantini, saraceni, normanni… Serve a darne un profilo sintetico una visita al parco archeologico di Scolacium, in località Roccelletta di Borgia: qui, tra ruderi e reperti di varie epoche, protagonista è appunto la storia, con personaggi più o meno noti della statura di un Cassiodoro (V-VI sec. d. C.), il più illustre figlio di questa città fondata dai romani nel 123-122 a. C.: uomo della tarda romanità che, percorsa un’importante carriera politica alla corte ostrogota di Ravenna per conto di Teodorico e dei suoi successori, alla fine della guerra greco-gotica fondò qui nei pressi il monastero di Vivarium celebre per la sua biblioteca, di cui divenne abate.

Ma questo sito di 35 ettari non riserva solo ruderi di un lontano passato: il suo fascino è dovuto anche alla ricchezza naturalistica di un’area incontaminata, già proprietà dei baroni Mazza ora acquisita allo Stato. Si annuncia al visitatore come un mare di ulivi centenari, muti testimoni del trascorrere delle età: robusti e coriacei come veterani di tante battaglie, in questa primavera iniziano nuovamente a fiorire, mentre al suolo rimangono ancora tracce della precedente raccolta. È stato questo uliveto, tra i più estesi del Meridione, a proteggere dall’avanzata del cemento i tesori qui sepolti dell’antica Scolacium: ora, nei vuoti aperti dagli archeologi nella maglia dei suoi simmetrici filari, appaiono alla luce del sole il foro, eccezionalmente lastricato in mattoni laterizi, insieme al basolato di un tratto del decumano, e a ridosso della grande piazza il teatro che a mo’ di quelli greci sfrutta il pendio della collina di Rotondone, risalendo la quale un sentiero conduce all’ellissi parzialmente riscoperta dell’anfiteatro, l’unico finora rinvenuto in Calabria (dall’alto, lo sguardo spazia liberamente fino al mare d’un blu cobalto). E ancora, impianti termali e, ai limiti dell’area urbana, resti di acquedotti e necropoli di età romana e bizantina.

Sul Rotondone, dove gli ulivi cedono il posto alle querce rivestite a nuovo nella chioma verdeggiante, ai mandorli che già presentano i loro frutti e ai siliquastri dalla fioritura rosa porpora, lussureggia una vegetazione di salvie viola, di margherite gialle, di rossi papaveri e bianche camomille, tra un profluvio di graminacee selvatiche. Il vento che ne fa scompiglia a tratti gli steli solleva fragranze inebrianti da questo tappeto verde.

Ridiscendiamo verso il complesso padronale e rustico dei baroni Mazza, i cui edifici ristrutturati oggi ospitano gli uffici del Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Museo archeologico nazionale e il Museo del Frantoio, dove gli antichi macchinari per la spremitura delle olive, perfettamente conservati, testimoniano la lavorazione dell’oro di questi uliveti, eredi di quelli che nel II e III secolo d. C. resero prospera la colonia romana. L’altro Museo, invece, custodisce i risultati delle ricerche effettuate in quest’area: reperti che vanno dalla preistoria all’età greca (la Skylletion che si dice fondata da reduci dalla guerra di Troia) e da quella romana (con le statue onorarie provenienti dal foro e dalla scena del teatro) fino alla decadenza e all’abbandono di Scolacium, avvenuto tra il VII e l’VIII secolo d. C.

L’età normanna è invece validamente rappresentata, all’ingresso del parco, dai ruderi della basilica di Santa Maria della Roccella, ultima costruzione monumentale eretta per volontà di Ruggero d’Altavilla tra la fine dell’XI e la prima metà dell’XII secolo. Di questo grandioso edificio in stile romanico occidentale con forti influenze arabe e bizantine rimangono le mura perimetrali, la zona absidale e la facciata: qui un varco nella cortina muraria accesa dal sole permette di guardare all’interno dell’unica immensa navata, animata dalle evoluzioni di stormi ciarlieri di corvi. Concepita anche come fortezza a difesa dalle scorrerie arabe nel villaggio bizantino cui s’era ridotta Scolacium, la basilica rimase incompiuta, forse per le lesioni causate da qualche evento sismico, così frequente in terra calabra. La rovina attuale, quella definitiva, è invece da attribuirsi al terremoto del 1783.

Ce n’è abbastanza per riflettere su due diverse fini: quella lenta di una città già fiorente e quella repentina di un edificio templare. La prima, dovuta alle vicende umane, la seconda ad un fenomeno naturale di inaudita violenza. Anche questo suggerisce Scolacium immersa tra gli ulivi.

 

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