Prima fiducia per l’Italicum

Oggi gli altri due voti di fiducia. La prossima settimana la votazione finale, probabilmente a scrutinio segreto. La fretta di Renzi. Le divisioni della minoranza Pd e il coraggio mancato tra chi non condivide la legge
Renzi

Prove di forza. Martedi l’Italicum aveva superato con tranquillità le due votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità e di merito presentate dalle opposizioni (respinte, rispettivamente, con 384 e 395 voti). Ma evidentemente questo risultato non era parso tranquillizzante a sufficienza per Matteo Renzi: il governo (per bocca della ministra Boschi) decideva di blindare la nuova legge elettorale, ponendo la questione di fiducia. Anzi tre: la prima, sull’articolo 1; le altre due sugli articoli 2 e 4.

 

Era proprio necessario, era proprio opportuno? Non per noi. In ogni caso, come prevedibile, la decisione suona come una dichiarazione di guerra al Parlamento e nell’aula scoppia la bagarre. Mercoledi la legge ha ottenuto la prima fiducia sull’articolo 1, ma i voti favorevoli sono stati 352: da 30 a 40 in meno rispetto alle votazioni del giorno precedente. Mancano all’appello altrettanti voti di una parte dei dissidenti PD. Una parte, soltanto, però, perché almeno un’altra cinquantina di essi ha votato la fiducia. In modo trasparente, perché, trattandosi di votazioni palesi, sono noti i nominativi degli uni e degli altri.

 

Oggi sarà la volta degli altri due voti di fiducia sugli articoli 2 e 4. Ancora in modo palese. Si prevede un esito-fotocopia. Se sorprese dovessero arrivare, bisognerà attendere la votazione finale, prevista per la prossima settimana. Questa volta con voto segreto.

 

Il coraggio.  «Se non passa l’Italicum, tutti a casa», ha detto il premier,lanciando una sfida, e non solo alla minoranza del suo partito: «Il coraggio, questo è ciò che serve oggi alla classe politica italiana». Non lo si può negare, è vero. Ci vuole coraggio a mettersi di traverso rispetto a questa legge, anche se non la si condivide. Due volte. Perché si rischia di non essere più rimessi in lista (soprattutto al primo rigo, quello più ambito, quello dei “certamente nominati” nei 100 collegi), e perché, in caso di caduta del governo e di elezioni anticipate, coloro che non dovessero completare i cinque anni della legislatura non accederebbero al vitalizio (oltre i due terzi degli attuali parlamentari).

 

È lo stesso coraggio che è mancato, dal 2005 in avanti, per due legislature, ai parlamentari nominati con il Porcellum, che – pur sempre imprecando, formalmente, contro quella legge – non l’avevano di fatto cambiata, e sarebbe ancora lì, viva e vegeta, se la Consulta non l’avesse dichiarata parzialmente incostituzionale, imponendo cambiamenti sostanziali riguardo al premio di maggioranza (abnorme e senza soglia minima) ed alla impossibilitàper gli elettori di esprimere le proprie preferenze (per l’esistenza delle liste bloccate).

 

L’urgenza e la fretta.  Portare a casa, ed in fretta, un risultato (l’approvazione della legge elettorale) è così urgente da richiedere, a colpi di maggioranza, una mortificazione del Parlamento? Ma questa legge, ancorché approvata, non dovrebbe entrare in vigore nel 2016? Ed essendo valida solo per la Camera, non dovrebbe essere preceduta dalla riforma costituzionale del Senato, che è ancora in itinere? 

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