Prima di ogni riforma sul tipo di governo, occorre cambiare la legge elettorale

La proposta del premierato da parte del governo Meloni presenta diversi difetti, ma prima di ogni sereno confronto occorre affrontare il nodo di una legge elettorale che impedisce, di fatto, ai cittadini di scegliere i parlamentari. Un contributo al dibattito sulla proposta governativa  di riforma istituzionale
Elezioni Foto LaPresse/Claudio Furlan

Volendo offrire un contributo al dialogo promosso da Città Nuova sulla riforma istituzionale avanzata dal governo Meloni, formuliamo alcune osservazioni quale contributo ad un sereno e approfondito dibattito, quanto mai doveroso su una materia come questa, fondamentale per la vita democratica del Paese.

Il principio cardine su cui anche l’argomento in discussione dovrebbe trovare fondamento è la norma costituzionale che disciplina la separazione tra i poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) e la figura del presidente della Repubblica al vertice di questa tripartizione con funzioni di garante.

La Carta, inoltre, prevede dettagliatamente (probabilmente anche a ragione del momento storico della sua emanazione al termine di una lunga dittatura) bilanciamenti, pesi e contrappesi in modo da favorire il corretto rapporto tra i singoli poteri.

La proposta del governo non sembra andare in questa direzione. La modifica (sostanzialmente una riduzione) delle attribuzioni del Capo dello Stato non appare mirata al mantenimento dell’attuale equilibrio del sistema. Anche la diversificazione della metodologia di elezione (da parte del Parlamento per il presidente della Repubblica e da parte dei cittadini per il presidente del Consiglio) crea di fatto una discrasia che un governo sensibile a forme autoritarie potrebbe utilizzare a proprio vantaggio per innescare conflitti tra i diversi organi costituzionali.

La priorità della riforma è dare stabilità al governo, ma non ad ogni costo. Purtroppo dalla maggioranza abbiamo appreso l’intendimento “ad andare avanti da soli” e dall’opposizione una sostanziale mancanza di volontà a collaborare. La delicatezza e importanza dell’obiettivo che ci si prefigge richiederebbe invece il reciproco ascolto in un dialogo franco e disponibile a soluzioni condivise tra le forze politiche. Se in passato non si è riusciti, ciò non comporta il fatto che non si possa ritentare, con il bene del Paese quale unica motivazione.

Se si realizza questa premessa, poi le soluzioni ai diversi aspetti si trovano attraverso le necessarie mediazioni. Ad esempio il doppio turno alla francese forse può essere più rispondente a contemperare le esigenze di rappresentatività e governabilità, ma la scelta può essere materia di discussione in quanto effettivamente nessun sistema è perfetto.

A margine dell’argomento, ma strettamente connesso allo stesso, rileviamo che le forze politiche hanno (volutamente?) dimenticato la modifica della legge elettorale vigente.

L’attuale norma (il cosiddetto “Rosatellum”) non permette di fatto ai cittadini di scegliere con il voto i propri rappresentanti in Parlamento ma solo di confermare i candidati di gradimento dei partiti. Sarebbe urgente porre mano ad una legge elettorale degna di un Paese a democrazia avanzata come l’Italia: purtroppo è passato un anno dall’inizio di questa legislatura senza che sia stato fatto nulla in tal senso.

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