Prigioniero a Parigi

Se volete incontrare un uomo, un essere umano autentico, leggete questi giovanili racconti di guerra, scritti subito dopo il Secondo conflitto mondiale dal futuro Nobel tedesco per la letteratura. C’è dentro un sapore di realtà che nessun realismo socialista e nessun realismo esistenzialista o nichilista sanno eguagliare. Perché il giovane Böll sa, anche se non ha letto i versi del terzo dei Quattro Quartetti che T.S. Eliot aveva scritto pochi anni prima (1941), che la realtà vera, non la finzione piatta della cronaca o l’impostura della retorica, è il punto d’intersezione del senza tempo col tempo, e lì bisogna cercarla, anche se questa, diceva, Eliot, è un’occupazione da santi. Ma appunto lui, Böll, persegue una sua idea umile e spavalda della santità della letteratura, immergendola nel fango e nel sangue della guerra, facendoti non solo sentire, ma facendoti parte dell’atrocità, a specchio della bellezza calunniata e assurdamente dimenticata del mondo, e della fortuna calpestata e violentata, della vita; e lì, proprio in quel punto d’intersezione Böll si rivela cristiano sul serio, pronto alla delicata trasparenza spirituale come alla parola, dura e forte, a volte gridata, anticlericale quando gli pare necessario, devota a fior di pelle e sensibilissima alla dolcezza spirituale di ciò che, sfrondato e nudato, appartiene a Cristo anche se è sequestrato dagli uomini. Nel pieno del dolore, dell’orrore e della desolazione, tu senti che, per contrasto, la sopravvivenza borghese comoduccia e distratta è peggiore anche della peggiore guerra: perché il primato è dello spirito, e chi vuole salvare la sua vita la perderà. Citare, da questi bellissimi racconti, è impossibile e improprio in una breve recensione; e quanto li si screma da alcuni passaggi, qua e là, dettati da intemperanze espressive giovanili (un po’ impressioniste un po’ espressioniste), viene da definirli, per restare nel lessico figurativo, romanici, nella loro aspra sicurezza e piena, terrestre e celeste effabilità: ti dicono tutto a tutto tondo, e insieme ti rimandano, nel loro massivo affollarsi visibile e carnale, al puro illuminarsi invisibile. È più utile, nello spazio breve di una recensione, far sentire un richiamo, far assaggiare un sapore e odorare un profumo, di umanità nonostante tutto; di umanità che nella propria mortale brevità accelerata, e rovesciata dalla guerra, non può non proclamare l’eterno, come il rovescio proclama il diritto. La guerra impresa senza emozioni, la guerra diventa una macina assassina e crudele, in cui non riesce più a penetrare neppure un barlume di speranza o di gioia… e a questo punto l’unico elemento di coesione è la sofferenza comune, che ha trovato un senso solo in Gesù Cristo crocifisso. Le perle ardenti della sofferenza, della compassione, dell’amore e del dolore che per Dio sono i gioielli più preziosi… le si raffreddarono sulle guance e sul collo, allora si rese conto che era umido e faceva freddo…. In questi racconti giovanili c’è la misera e tragica Germania della disfatta, e in trasparenza 1’intera sconfitta dell’umanità nella Seconda Follia Mondiale. Intrecciato a questa e a quella, il colpo di reni della vita che, proprio nel momento in cui è più minacciata, prende un’impreveduta consapevolezza di sé, si divincola e rinasce, senza superbia. H. Böll, Prigioniero a Parigi, Oscar Mondadori (1ª edizione italiana), euro 7,40.

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