Il premier indiano Modi cede ai contadini

Storico passo indietro del premier, che cede di fronte alle enormi proteste dei coltivatori diretti e ritira tre provvedimenti della riforma agraria approvata dal Governo nel 2020.
Protesta di agricoltori indiani (AP Photo/Altaf Qadri, File)

«Nell’ambito delle celebrazioni per i settantacinque anni della nostra Indipendenza, l’impegno a percorrere la via di una crescita e di uno sviluppo inclusivi rappresenta la vera priorità richiesta in questo momento della nostra storia». Con queste parole il governo Modi ha giustificato la sua decisione di ritirare la legge di riforma agraria approvata lo scorso anno, che aveva suscitato una forte reazione da parte di milioni di coltivatori diretti del Paese.

La dichiarazione, sia pure in forma conciliante, tradisce una sconfitta cocente per la gestione Modi e rappresenta, forse, il passo indietro più significativo di questi 7 anni di governo incontrastato del Paese. Come più volte abbiamo scritto anche su Cittanuova online, il governo Modi è sempre riuscito a far passare le proprie decisioni: sia a livello economico e finanziario – come la demonetizzazione molto controversa eppure mantenuta –, sia a livello politico o geopolitico – si pensi alle decisioni prese temporaneamente per lo stato amministrativo del Kashmir, mai revocate.

Per quanto riguarda la riforma agraria, di cui avevamo ampiamente parlato lo scorso anno, si era capito da subito che la questione sarebbe stata più complessa. L’agricoltura, infatti, rappresenta un settore chiave dell’India e le dimostrazioni dei contadini, i blocchi stradali attorno alla capitale e il pericolo di uno stallo con una escalation nei prezzi degli ortaggi rischiava ormai, a distanza di un anno, di creare grossi problemi non solo all’economia del Paese ma all’immagine del partito di Modi, quel Bjp, che non può ignorare che fra tre anni dovrà presentarsi nuovamente al gradimento di un elettorato mastodontico e per nulla sprovveduto, dove la popolazione rurale è ancora la stragrande maggioranza.

(AP Photo/Ajit Solanki)

Ovviamente la decisione ha suscitato grande soddisfazione all’interno della Samyukta Kisan Morcha (Forza unita dei coltivatori diretti), formatasi esattamente dodici mesi fa grazie alle sinergie di una quarantina di sindacati di agricoltori attivi in diverse zone dell’India. Si è trattato di una vittoria storica per questa larga fetta di popolazione del Paese asiatico, che ha dimostrato come il governo Modi non sia inamovibile sulle sue decisioni quando viene affrontato con determinazione e in modo unitario di chi non accetta le sue decisioni e la sua politica.

Anche la Chiesa cattolica è stata presente ed attiva nel movimento anti riforma e Dorothy Fernandes, neo Segretaria generale del Forum dei religiosi per la giustizia e la pace, ha dichiarato che questo ritiro era inevitabile e, dunque, dovuto. «Si tratta della prima vittoria degli agricoltori e del movimento di massa che ha lottato in maniera pacifica». La religiosa, d’altra parte, non ha nascosto il suo timore che tale decisione sia stata presa al fine di evitare di perdere il gradimento di una larga fetta dell’elettorato e che, dunque, abbia come finalità il male minore per la gestione Modi che, vista l’impossibilità di venire ad accordi con i sindacati dei coltivatori diretti, ha preferito tornare sui suoi passi per evitare di mettere un’ombra pericolosa sulle prossime elezioni regionali e su quelle politiche.

Nei prossimi mesi, infatti, si svolgeranno le elezioni locali in alcuni stati chiave come Punjab, Uttar Pradesh e Uttarakhand, parti del Paese dove la popolazione rurale è dedita a coltivazioni estese di cereali, oltre che a Goa dove invece nei villaggi si coltiva riso. In questo momento, comunque, i sindacati chiedono un risarcimento alle famiglie dei coltivatori morti negli scontri dello scorso anno. E il governo dovrà affrontare anche questa delicata situazione.

Modi ha dovuto accettare il passo indietro, ammettendo, in un discorso alla nazione, di non essere «stati capaci di spiegarci con i nostri agricoltori. Questo non è il momento di accusare nessuno, voglio solo dire che le leggi sono state ritirate». I provvedimenti contestati – in tutto tre – erano stati varati il 20 settembre 2020 e prevedevano la riduzione dei sussidi di sostegno ai prodotti agricoli e limitavano la possibilità di stoccare la produzione nei magazzini statali, un sistema con tanti difetti ma che offre garanzie ai piccolo produttori dal momento che gli agricoltori vengono pagati in anticipo dallo Stato.

Il timore era che con il nuovo schema introdotto dal governo Modi il mercato agricolo finisse nelle mani di gruppi monopolistici. E proprio questo timore aveva scatenato la protesta di centinaia di migliaia di contadini che, in questi mesi, si sono mobilitati a livello locale e con oceaniche dimostrazioni a Delhi, riprese nelle ultime settimane dopo i blocchi imposti dalla pandemia.

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