Preghiera in forma di colore

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Mani che chiedono, mani che offrono. Sarà questo intreccio di sentimenti così spontanei nell’uomo – il dare e il ricevere – a muovere l’iconografia mariana lungo i secoli, facendo della Madre la figura simbolica dell’amore senza confini? Le Madonne dell’umiltà, che dal Trecento in avanti, sedute in un giardino fiorito o in un roseto come dentro un “hortus conclusus” si donano alla contemplazione come icone della grazia, lo esprimono in termini di raffinata gentilezza. Nelle tavole di un Pisanello o di uno Stefano da Verona, nelle miniature o nelle vetrate, la Vergine “tota pulchra” può degnamente essere venerata come “porta del cielo”. Fino a farlo scendere, questo cielo, con incantevole delicatezza, qui in terra. Quando, sull’onda della devozione popolare, negli anni Settanta del Quattrocento nasce in Germania la “Festa del rosario”, spetta ad un artista geniale, Albrecht Dürer, fissarla in termini di poesia universale. È del 1506 la grande tavola La festa del rosario dipinta a Venezia per il “Fondaco dei tedeschi” suoi compatrioti, in cui invocazione, gioia, richiesta, e sicurezza di protezione si condensano in una luminosa unità fra società celeste e società terrestre. Maria incorona con ghirlande di rose, aiutata da san Domenico, l’imperatore Massimiliano e papa Giulio II, insieme ad una folla di devoti.Tradizione nordica – l’amore al dettaglio naturale – e veneziana – senso del colore, passione musicale – fondono due civiltà complementari nella comune preghiera d’intercessione. Saranno tutti salvi – e la corona ne è un pegno simbolico – coloro che si metteranno ai piedi della Vergine. Messaggio chiaro per il popolo di aristocratici che affolla la pala, cui Dürer ha il merito di infon- dere il soffio di una coralità che investe uomini e natura in una splendida festa primaverile. Ma bisogna attendere Lorenzo Lotto, nella sua Pala di Cingoli, anno 1539, perché il protagonista sia il popolo dei devoti umili e semplici, quelli delle feste campestri con processioni di fiori e “tondi dei misteri”. È forse la prima “iconografia” completa del rosario, imitata da una folla immensa di divulgatori nei secoli a venire. Lotto, tuttavia, non fa devozionismo illustrato. Il contatto con la provincia, la sua stessa interiorità tormentata, l’amicizia con i domenicani e la sensibilità acuta verso la riforma, rendono questa “cristologia dei poveri” un capolavoro dove l’arte è davvero preghiera dipinta. Freschezza inventiva dei tondi appesi all’albero, poesia nel gruppo degli angeli che spargono petali (le grazie tramite Maria, in attesa d’essere accolte?) si concentrano, come in Dürer, nel “gioco delle mani”: un commovente concerto emotivo nella assonanzasovrapposizione “roseto-rosario”, inventata dal Lotto stesso, che ben conosceva il significato verginale dato al fiore della rosa. Il dramma di una cristianità lacerata si fa “parusia” del Cristo giudice misericordioso nel Giudizio di Michelangelo, concluso nel 1541. Nella storia che si chiude e si apre nel senza- tempo del blu oltremarino la Vergine, secondo la tradizione, siede accanto al giovane Figlio. Ma non timorosa – come spesso è stato detto – né raccolta in ansia, racchiude con gesto pudico il velo (sempre l’artista offre squarci delicati sulla verginità di Maria), lo sguardo rivolto a quella parte del cielo dove il suo amore ha la vittoria: è il gruppo in cui un risorto salva due anime, “aggrappandole” alla corona del rosario. Maria, intermediaria delle grazie – secondo la concezione cattolica, in evidente opposizione a quella protestante – è così plasticamente potente, ad indicare la forza dell’intercessione. Nell’immensità di un “teatro del cosmo” – tale è l’affresco -, lo sguardo di Maria suona come una nota fiduciosa, in modo che chi “legge” il dipinto colga un’unica linea diretta: dal risorgente alla base, a chi viene trascinato in su dal rosario, fino a Maria “porta” del cielo che è il Cristo vincitore. Un messaggio che, nella cappella dedicata all’Assunta, si colora di una luce sovrannaturale. È dal 1571, anno della vittoria di Lepanto attribuita dal papa domenicano Pio V alla Vergine del Rosario, che l’iconografia fa un balzo in avanti formidabile, anche perché ufficialmente confermata. Dalle stampe popolari alle tele devozionali il tema ha una diffusione universale nell’Europa cattolica, toccando momenti dove arte e fede raggiungono ancora delle punte espressive di grande significato. Si pensi ad una tela come la Madonna del Rosario di Caravaggio, anno 1607. Composizione insolitamente affollata, in cui prevale il “tema delle mani” allo stato emozionale puro. Realtà, la miseria del popolo dei “bassi” napoletani, specchio di tutti gli emarginati di ogni epoca; teologia, la Vergine in alto indica ai domenicani i poveri, a dire che continuino con la loro carità concreta il suo amore; spiritualità, ovvero le correnti “riformate cattoliche” aderenti al vangelo nel quotidiano; e finalmente, ispirazione altissima, che nell’alternarsi di rosso e nero, nell’incrociarsi tumultuoso dei gesti, disegna l’anima stessa della fede, anelito e fiducia. Una “lettura” mariana priva di retorica, com’è di Caravaggio, ma immediata ed attuale, che darà linfa ad un altro tipo di interpretazioni pittoriche del rosario, quelle più sofferte e realistiche di tanta arte, lontana dalle idealizzazioni della scuola barocca, espresse, ad esempio, dalla pala di Domenichino (1625) a Bologna, festa di fiori su un’umanità afflitta. È il filone “trionfalistico” del tema, che esalta la potenza della grazia nella Vergine. Succede così che Giambattista Tiepolo a Venezia, nella chiesa del Rosario, insceni nel soffitto una Gloria di san Domenico (1739) in una sorta di spettacolo della devozione; che se a noi, può dare un senso di sazietà, per il popolo veneziano rappresentava invece, con la chiarezza del colore e lo sconfinamento degli spazi, una certezza: le mani che hanno offerto il rosario, potranno pure un giorno aprire le porte del paradiso. Una visione di speranza, questa di Tiepolo: chiara, come quest’arte che non conosce dolore. TRA ANTICO E MODERNO Dopo l’Ottocento asettico e il Novecento poco creativo, oggi spetta ad una schiera di artisti giovani “mediare” il tema nel difficile passaggio fra tradizione e rinnovamento. Rodolfo Papa, 39 anni, scrittore ed artista romano, è autore “sacro” fra i più rinomati. La sua Madonna del manto, in una parrocchia romana, cromia squillante, ritratti realistici, riprende l’antico tema, attualizzandolo con indubbia efficacia. Come nel giovane in t-shirt e rosario in mano che addita la Madre, lo sguardo rivolto ai fedeli a mostrare l’icona luminosa della misericordia.

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