Preferenze: si o no? Parliamone

Il nuovo accordo Renzi-Berlusconi ritocca le soglie di accesso al premio di maggioranza e alla distribuzione dei seggi per le liste che si coalizzano, ma dice ancora no alle preferenze. Su questo tema nodale vale la pena aprire una discussione, serena e senza pregiudizi
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I costi della politica: crescono con il sistema delle preferenze? Quando si parla dei costi della politica il riferimento è ai finanziamenti pubblici che vanno nelle casse dei partiti e che gravano sulle tasche dei cittadini-elettori. L’utilizzo spregiudicato di queste risorse, senza trasparenti rendicontazioni e senza controlli esterni, è all’origine dei vergognosi scandali balzati al disonore delle cronache degli ultimi anni.

In un sistema elettorale con le preferenze, i costi delle campagne elettorali gravano unicamente sulle tasche dei candidati (e non dei cittadini-elettori). I candidati che hanno un reale radicamento sociale possono contenere sensibilmente i costi delle proprie campagne perché contano sul consenso spontaneo degli elettori che li votano per le loro storie personali trasparenti e per l’affidabilità delle loro competenze, note e riconoscibili.

È, in ogni caso, possibile fissare per legge un tetto invalicabile per i costi della pubblicità elettorale dei singoli candidati e richiedere un rendiconto rigoroso delle spese sostenute e dei contributi eventualmente ricevuti. Norme in questo senso esistono già: basta rafforzarle.

Le lobby: condizionano maggiormente il voto in favore dei propri interessi se si vota con il sistema delle preferenze? È una ipotesi che suscita solo un sorriso. Nella realtà globalizzata, in cui «le multinazionali si sono spartite la terra e la stanno divorando» e la cui «vittoria coinciderà con la distruzione non solo del mito democratico ma anche dell'ordine giuridico internazionale» (sono parole di Franco Cardini, nel suo libro “Astrea e i Titani”, Laterza), è davvero risibile immaginare che le lobby preferiscano investire risorse per condizionare singoli candidati (sostenendone le campagne elettorali individuali) piuttosto che puntare su intere componenti di liste bloccate di questo o quel partito.

Le mafie: inquinano maggiormente il voto se è in vigore una sistema elettorale che preveda le preferenze? Il voto di scambio è un reato previsto dal codice penale: è compito delle forze dell’ordine e della magistratura prevenirlo, scoprirlo, sanzionarlo. E poi, ci scuserete, ma davvero si può pensare che una legge elettorale piuttosto che un’altra possa scoraggiare le mafie, ovvero un sistema criminale potente, organizzato, capillarmente diffuso e infiltrato nei territori e nelle istituzioni? Se così fosse, in otto anni di vigenza del Porcellum con le liste bloccate, lo Stato le avrebbe sconfitte.

Il compito della politica è quello di saper fare pulizia al proprio interno, non candidando nelle liste dei vari partiti soggetti dalla dubbia moralità pubblica e da più o meno note frequentazioni di zone grigie.

È maggiore il rischio di predisporre liste (bloccate) al cui interno, accanto a persone degnissime, possano essere inseriti soggetti aventi minore rispettabilità e che, non essendovi la possibilità per gli elettori di scartarli con l’uso selettivo delle proprie preferenze, si troveranno comunque eletti (nominati). In atto, in Parlamento, siedono almeno una cinquantina di deputati e senatori con problemi di natura giudiziaria (anche gravi).

Per la vigente legge anticorruzione, saranno incandidabili, alle prossime elezioni, solo quanti abbiano riportato condanne definitive superiori a due anni per delitti di mafia, terrorismo, concussione, corruzione, peculato. Quelli che, invece, hanno riportato condanne pur definitive e per la stessa tipologia di reati, ma di durata inferiore, si possono ricandidare. E possono candidarsi anche quanti abbiano nella fedina penale condanne non definitive.

Magari, fra questi, qualcuno potrebbe essere inserito nelle liste bloccate, in modo tale da offrirgli l’ombrello della immunità parlamentare nel caso che, nel frattempo, sopravvengano nei suoi confronti sentenze di condanna di secondo o terzo grado. Il cittadino che possa esprimere una preferenza può invece scegliere, in coscienza, se votarlo o no.

Ma i cittadini non le avevano abolite le preferenze? Questa è la più eclatante falsità che viene sbandierata da quanti non intendono pervicacemente rinunciare alle liste bloccate.

Ne abbiamo già scritto, ma ci ritorniamo. Con il referendum del 1991 il 95,6 percento dei cittadini che votarono “sì” lo fecero per abrogare le preferenze multiple, evidenziando la chiara volontà di lasciare in vigore la preferenza unica. Con le preferenze multiple, infatti, si cementavano accordi all’interno dei partiti che favorivano “cordate” di 4 candidati – in genere quelli che rappresentavano le correnti maggioritarie – con gravi rischi di inquinamento del voto. Con la preferenza unica si consentiva invece agli elettori di esprimere il proprio consenso per un solo candidato, consentendo così spazi di rappresentanza anche alle minoranze.

Oggi, con la maturata consapevolezza della necessità di favorire la rappresentanza di genere, si potrebbe prevedere al massimo una doppia preferenza, con l’obbligo dell’alternanza uomo-donna.

Ultima obiezione da sfatare: in Europa si vota, quasi dappertutto, con liste bloccate. Bè, ogni Stato ha la sua Carta costituzionale e sceglie le leggi elettorali che siano conformi ai suoi dettami. Noi abbiamo la nostra Costituzione, di cui andiamo fieri (dicono sia la più bella del mondo), e che prevede – con chiarezza – che sia i deputati che i senatori vengano eletti «a suffragio universale e diretto» (artt. 56 e 58).

E il termine «diretto» che altro può voler dire se non che il cittadino-elettore possa scegliere personalmente il nome del proprio rappresentante (pur all’interno di liste presentate dai partiti, magari dopo consultazioni primarie)?

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