Precarizzazione dei migranti

Aumento dello sfruttamento e nuovi passi per l’accompagnamento. Analizziamo i dati degli ultimi Rapporti sull’immigrazione.

Trascorso praticamente un anno dall’inizio della pandemia, il Covid-19 ha comportato non solo un’evidente crisi sanitaria, ma anche economica e sociale a livello planetario. Come spesso accade in questi casi, i più propensi a soffrirne sono i settori più vulnerabili ed emarginati, tra i quali le persone migranti. Il virus ha un impatto diretto sulle loro vite, ostacolando il già difficile accesso alla sanità e assistenza, ed esponendoli a maggiori possibilità di perdita di lavoro.

I dati del 2020

Secondo le ultime statistiche delle Nazione Unite, sono 272 milioni le persone che risiedono fuori dal loro Paese di nascita, una cifra che corrisponde solo al 3,2% della popolazione mondiale. Per quanto riguarda l’Italia, il Rapporto Immigrazione 2020 realizzato dalla Fondazione Migrantes riporta che i cittadini stranieri sono 5,3 milioni, una percentuale pari all’8,8% degli abitanti. Nel nostro Paese, il rapporto più esaustivo sulle migrazioni è il Dossier Statistico Immigrazione, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos e il Centro Studi Confronti. Pubblicato alla fine di ottobre 2020, mostra come, alla luce dell’emergenza Covid-19, i migranti abbiano continuato a raggiungere l’Europa, ma con un’accentuata precarietà e lo sfruttamento in ambito lavorativo, come spiega il sociologo Marco Omizzolo. Un chiaro esempio si trova nella massiva regolarizzazione di immigrati della scorsa estate, che ha raccolto 220.500 domande. Secondo un discorso utilitarista, che mira a prevenire le necessità alimentari degli italiani e le esigenze di cura, la procedura in questione è stata applicabile solo ad alcune categorie lavorative, tra cui l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, l’assistenza alle persone con disabilità e il lavoro domestico. Infatti, Omizzolo indica nel suo saggio che il numero di migranti sfruttati in agricoltura durante l’emergenza sanitaria è aumentato di un 15-20%.

La politica migratoria

Nel frattempo, la paura dello sconosciuto ha preso il sopravvento e si è trasformata in uno tsunami di xenofobia che cerca negli indifesi un capro espiatorio, come denuncia il presidente di Idos, Luca di Sciullo. Tuttavia, una delle lezioni che ci ha dato il virus è, come sottolinea papa Francesco, che «nessuno si salva da solo». I migranti formano parte del tessuto sociale e bisogna prenderne consapevolezza per includerli nel piano di sviluppo nazionale. Le persone straniere costituiscono una grande ricchezza, con il loro bagaglio culturale, la mano d’opera istruita, il ringiovanimento demografico e l’attivazione economica attraverso il consumo, l’investimento e le rimesse. Dunque, una valorizzazione del loro apporto contribuirebbe al miglioramento socioeconomico dell’Italia.

Durante la pandemia, hanno avuto luogo una serie di cambiamenti in politica migratoria. In Europa è stato presentato un nuovo patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, volto a sviluppare vie legali per l’accoglienza e frenare la criminalizzazione alle associazioni di salvataggio marittimo. In Italia, l’approvazione del Decreto Immigrazione nel mese di ottobre modifica i precedenti Decreti sicurezza e introduce una nuova protezione umanitaria – o “speciale” – per quelle persone che rischiano di ricevere «trattamenti inumani e degradanti» nel Paese di origine. Tutto sommato però, il “distanziamento sociale” degli immigrati rimane latente nel piano politico; basta pensare al consenso del Parlamento italiano nel rifinanziare le missioni di salvataggio da parte della guardia costiera libica, un’altra strategia per esternalizzare le frontiere nazionali.

Fonte: Rcfl-Istat

La Chiesa cattolica cosa fa?

In questo tempo di crisi, cooperazione, solidarietà, empatia e unione sono diventati i principi cardini per la sostenibilità e la coesione sociale. Infatti, entità a livello internazionale si sono volte in modo immediato ad aiutare le persone più bisognose. Un esempio è la Commissione internazionale cattolica per le migrazioni. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le comunità e i leader religiosi hanno un ruolo cruciale nell’accompagnamento durante il periodo Covid: essendo al servizio della comunità, riescono a individuare le persone più a rischio e fornire loro assistenza, conforto e informazione sanitaria.

Precisamente ad aprile di quest’anno, è stata istituita la Commissione vaticana Covid-19 per volontà del papa. Attraverso l’analisi e la rif lessione sulle sfide socioeconomiche e culturali, l’obiettivo è quello di preparare il futuro. Suor Alessandra Smerilli è coordinatrice della task force di economia nella Commissione e spiega che il tema della migrazione è uno dei più urgenti da affrontare, dentro il quale si nascondono serie problematiche: fame e povertà, doppio sfollamento – migranti non voluti né dai Paesi di arrivo né da quelli di origine a causa del lockdown –, centri di detenzione per stranieri, ecc. «Papa Francesco ci ha chiesto concretezza», conclude Smerilli, per cui il gruppo lavora alla presentazione di proposte.

«L’immigrazione per tanto tempo è stata un’ossessione, ma non una narrazione», afferma la scrittrice Igiaba Scego. Forse adesso è arrivato il momento di ripensare l’approccio alle migrazioni per far sì che l’incontro con l’altro diventi uno spazio di guarigione e di comunione fraterna.

Diritti umani, la storia di Abou

Abou ha 21 anni ed è arrivato dal Gambia nel 2015. Vive a Roma e lavora come autonomo per un’azienda di consegna a domicilio. Di certo il suo viaggio non è stato facile; dopo aver lasciato la sua famiglia, ha dovuto subire gli orrori della guerra in Libia prima di sbarcare sul suolo italiano.

Alla sua giovane età, ha dovuto costruirsi una vita da zero e da solo. «Come straniero non è semplice – racconta – perché tutta una serie di diritti non vengono riconosciuti». Ha lavorato nella campagna e in un ristorante, in piedi fino alle due o tre del mattino per 30 euro. «A volte sento che la mia è una vita inutile, senza senso, perché, se non ti danno i diritti, sei nascosto, il mondo non ti conosce», lamenta. Perciò, uno dei primi passi da fare in Italia per l’inclusione dei migranti è secondo lui in materia amministrativa; ottenere i documenti è diventato già da anni un percorso ad ostacoli che priva i migranti della possibilità di godere in pienezza dei diritti umani.

Inoltre, Abou è testimone in prima persona del tratto discriminatorio dato agli immigrati, che non ha fatto altro che propagarsi durante il periodo di emergenza sanitaria: «È difficile, perché non puoi stare in questo mondo senza incontrare le persone che ti odiano. Ma nessuno ha il diritto di farti sentir male, perché questo mondo lo ha creato Dio per tutti».

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