Pranab Mukherjee, il presidente mai Primo ministro

Scompare a causa delle conseguenze di un delicato intervento e del Covid 19, Pranab Mukherjee, consumato politico indiano, che, nel corso della sua carriera, ha occupato diversi ministeri diventando il tredicesimo presidente dell’India nel quinquennio 2012-2017.

Pranab Mukherjee è stato varie volte sul punto di diventare Primo ministro dell’India, ma, durante la sua lunghissima carriera politica, non è mai arrivato a quella poltrona. È diventato, invece, il tredicesimo presidente della Repubblica indiana quando ormai era un pensionato di prestigio comunque ancora attivo nel tessere trame nel complesso scenario politico indiano. Ha concluso così una stagione importante e complessa della più grande democrazia del mondo, senza mai averne pienamente le redini in mano, ma rappresentandola nel modo più significativo occupando le stanze dell’immenso Rashtrapati Bhavan, il palazzo presidenziale al centro di Delhi, un tempo sede del Vicerè dell’Impero Britannico.

Mukherjee era un tipico bengalese. Lo tradiva il suo cognome, ma anche i suoi tratti somatici e, cosa che più conta nell’agone politico, il tratto gentile. Era considerato un fedelissimo di Indira Gandhi, uomo di dialogo, un tessitore di rapporti, quello che «andava d’accordo con tutti», spesso anche con l’opposizione. La  sua prima apparizione sulla scena politica nazionale era stata nel 1969 quando era stato nominato al Raja Sabha, il Senato indiano. Non era che l’inizio di una carriera che lo avrebbe portato a essere una delle figure di spicco del partito del Congresso con Indira Gandhi, che lo nominò ministro per il Commercio già nel 1980 per promuoverlo, poi, due anni più tardi, al ministero delle Finanze. Fu proprio in virtù di quell’ufficio che firmò il decreto di nomina del nuovo governatore del Reserve Bank of India, il sikh Mammohan Singh, che, nel decennio successivo, anche come ministro delle Finanze, avrebbe pilotato il Paese fuori dell’economia di Stato voluta da Nehru, aprendola con prudenza verso una economia di mercato.

Intanto Mukherjee alla morte di Indira, nel 1984, si era presentato già come uno dei potenziali candidati a prendere il posto della “donna di ferro” della politica indiana. Molti avevano speculato che si fosse proposto lui stesso come Primo-Ministro ad interim, mentre l’allora presidente Zail Singh, nelle ore tragiche che seguirono all’assassinio di Indira, attese il ritorno nella capitale di Rajiv Gandhi, figlio della donna uccisa, per nominare lui in quella posizione. Mukherjee ha sempre sostenuto di non aver voluto occupare quella poltrona ma di aver suggerito di attendere senza voler bruciare i tempi. Fatto sta che durante il governo di Rajiv Gandhi, Mukherjee fu estromesso da incarichi di governo e rimandato nello Stato del Bengala a curarsi del Congresso locale. Finì per fondare un suo partito che, tuttavia, si riunì alla “casa madre” poco dopo. Da buon bengalese, seppe attendere e con l’elezione di Narasimha Rao, altro veterano del partito fedele ai Nehru-Gandhi, ottenne nuovamente la poltrona prestigiosa di ministro delle Finanze. Lo sarebbe stato altre tre volte!

Al termine del mandato di Rao, Mukherjee, con tutta probabilità avrebbe pensato di poter essere lui il candidato a capo del gabinetto, ma Sonia Gandhi, vedova di Rajiv, vera capo del partito, gli preferì ancora una volta un’altra persona. Si trattava proprio dell’economista-tecnico e non-politico, Manmohan Singh. Mukherjee dimostrò le sue capacità di uomo di dialogo rimanendo al fianco di Singh, più giovane di lui e meno esperto nell’ambito della vita politica del Paese, accettando un altro ministero chiave come quello degli esteri e che alternò negli anni successivi con quello della Difesa. Quindi, una carriera prestigiosa quella di questo politico bengalese che se un difetto aveva era quello di mancare di carisma per elettrizzare le masse. Mukherjee non ha mai riempito i grandi spazi aperti per raduni oceanici come hanno fatto Nehru, Indira, Rajiv ed ora Modi. Ma è sempre sopravissuto nel contesto politico indiano anche quando qualcuno lo accusò di connivenze, mai di fatto provate, con la famiglia Ambani allora in ascesa nel panorama finanziario dell’India. È rimasto un politico tradizionale, grande tessitore all’interno del suo partito come pure con altri all’opposizione.

La sua carriera ed il suo carattere spiegano come sia arrivato anche alla presidenza della Repubblica, dove coloro che lo avevano preceduto erano spesso accademici, scienziati, diplomatici e molto raramente politici consumati come è stato lui. E da presidente, pur rimanendo nei suoi compiti costituzionali, si è sempre interessato della politica e dei vari sviluppi a cui il Paese è andato incontro, non ultimo il crollo del Congresso e la presa di potere da parte del Bharatya Janata Party di Surendra Modi. Apprezzato anche dalle minoranze sia religiose che etniche, Mukherjee  resta, fra l’altro, l’unico presidente dell’India ad aver sempre rifiutato la grazia a condannati a morte che ne avevano fatto richiesta. Fra coloro che sono stati giustiziati durante il suo mandato presidenziale c’erano i terroristi protagonisti di vari attentati nei decenni precedenti. Un aspetto controverso della personalità di quest’uomo che, indubbiamente, rimane una delle figure più importanti della complessa vicenda politica dell’India negli ultimi sessant’anni.

 

 

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