Portorico, il governatore rispedito a casa dalla gente

Mezzo milione di portoricani sono scesi in piazza indignati per 900 pagine di chat che coprono di insulti i disastrati dell’uragano di due anni fa, nonché politici, giornalisti, omosessuali e tanti altri. Giovani e reti sociali protagonisti di una rinascita?

Puerto Rico è una isola dei Caraibi di 9.100 chilometri quadrati situata a 1.500 chilometri a sudest delle coste della Florida che, insieme alle Isole Marianne del nord, è un Paese libero associato agli Stati Uniti. Dunque, è territorio Usa, la sovranità viene rappresentata dal Congresso, ma non è lo Stato numero 51. I suoi 3,1 milioni di abitanti, sebbene siano cittadini statunitensi, possono votare solo se risiedono in uno degli Stati o nel territorio di Washington D. C.. Più di 5 milioni di boricuas, come vengono soprannominati i nativi, vivono negli Usa e vari altri di origine portoricana hanno raggiunto la fama, come Jennifer López o i cantanti Ricky Martin, Residente e Bud Bunny.

Questi ultimi due artisti sono stati un fattore chiave per rispedire a casa il governatore Ricardo Rosselló, la massima autorità politica, dopo la pubblicazione di quasi 900 pagine di imbarazzati chat con i suoi più vicini collaboratori. In queste discussioni Rossellò si fa beffe dei danneggiati dall’uragano “Maria”, che nel 2017 sconvolse l’isola provocando più di 3 mila morti, ma anche di omosessuali, giornalisti e politici con frasi offensive e rivelando indizi di corruzione. Alcune settimane prima sei ex funzionari del governo erano stati indiziati di reato insieme ad alcuni industriali, poco prima che, il 13 luglio, venissero pubblicate le chat zeppe di insulti e beffe.

La divulgazione di queste conversazioni ha scatenato artisti ed intellettuali e la gente comune, che è scesa in piazza per ripudiare Rosselló, il quale non ha avuto altra scelta che andarsene, mentre mezzo milione di persone adirate protestava contro di lui.

Del resto, è ancor vivo il ricordo di quando, due anni fa, la furia della natura aveva sconvolto il Paese e tutte le sue infrastrutture. Con temperature asfissianti, nel caldo e nell’umidità che perdura quasi tutto l’anno, il crollo del sistema venne provocato dalla mancanza di elettricità. Ci vollero mesi anche solo per fare un conteggio delle vittime. 

case-distrutte-a-portorico-dopo-il-passaggio-delluragano-maria-foto-apCon una mancanza di tatto che sarà criticata dai media statunitensi, il presidente Donald Trump dedicò appena cinque ore a visitare l’isola. Mentre lanciava pacchi di carta igienica, in pratica sostenne che dovevano cavarsela da soli, gli Usa avevano già speso fin troppo per Puerto Rico.

Con un’economia in ginocchio e un debito pubblico di circa 75 miliardi di dollari, in parte anche responsabilità dei propri politici, l’isola non ha molte speranze di avviarsi verso la ripresa. La politica di Washington ha ritirato poco alla volta gli incentivi per gli investitori statunitensi, frenando chi era disposto a svilupparvi attività produttive.

Per mons. Ruben González Molina, presidente dei vescovi dell’isola, questa è l’occasione «per unirci come popolo e lavorare insieme per il bene comune». Il prelato ha fatto leva, nelle sue dichiarazioni all’agenzia Sir, sulla presenza dei giovani, mobilitati dalle reti sociali. «È un momento di speranza, un nuovo Puerto Rico sta nascendo e vogliamo accompagnare questo cambiamento, stare con la nostra gente», sostiene.

Siamo davvero all’alba di una ripresa? E quale sarà il futuro di quest’isola? Va ripristinato il dialogo con gli Stati Uniti. Nell’ultimo referendum il 97% degli abitanti ha votato per farne pienamente parte. Ma alla Casa Bianca non pare che ci sia molto interesse per incrementare la popolazione di origine ispanica e nemmeno per inviare fondi. La Giunta di controllo fiscale, assegnata da Washington per mettere ordine nel caos amministrativo, pare sia lo schema preferito: vigilare, ma senza metter mano al portafoglio. Durante le manifestazioni, non sono mancate critiche alla Giunta: come mai non hanno notato i casi di corruzione emersi?

Ma va anche rivisto lo schema istituzionale. Lo ammette uno dei suoi ex governatori, Aníbal Acevedo, che riconosce gli errori commessi da lui ed i suoi concittadini. Resta il fatto che le ong e le reti sociali hanno consentito una svolta storica che ha riportato in mano al popolo la decisione sovrana di dire «basta». Sarà possibile continuare per questa via? Pare possibile, se la società civile seguirà a essere vigilante e presente nel processo iniziato.

 

 

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