Portavano legna

Viveva in quella città un ufficiale dell’esercito romano, un uomo rispettato dal popolo, che non esigeva più della sua paga. Aveva una moglie saggia, servi fedeli, beni su questa terra. Tuttavia, il suo cuore si torceva, disperato. Neppure quando faceva notte riposava. Era come se uno spirito maligno lo tenesse prigioniero. Talvolta, temeva di diventare come quei poveri, abbandonati lungo le strade di Betlemme, che si contorcevano e gridavano, al suo passaggio. Sempre più numerosi in quei giorni, sempre più tormentati, mentre Betlemme era invasa da moltitudini di uomini. In quel tempo, infatti, Cesare Augusto aveva ordinato il censimento di tutti gli abitanti dell’Impero romano, Impero diventato un formicaio. Tutti in viaggio, ognuno verso il proprio luogo d’origine. L’esercito vigilava e Marcello, questo il nome dell’ufficiale, era stato messo a guardia dei registri, perché ogni cosa si svolgesse secondo la legge. Soldato, cerchiamo albergo, mia moglie è incinta e per lei è giunta l’ora di partorire…. Era uno dei tanti, in un giorno come tanti: un ebreo bello, dal portamento nobile. Si era avvicinato al tavolo degli ufficiali e ora si rivolgeva proprio a lui. Betlemme è piena di locande, galileo, perché chiedi a me? Anch’io sono straniero qui. In città si dice che sei giusto. Dietro di lui, a cavallo di un asino, stava una giovane incinta, stravolta dalle doglie. La gente vaneggia! Portala via, in molti aspettano e vengono da lontano, come voi. L’ebreo e la donna si volsero. Il vostro nome e i vostri beni. Altri volti, altre storie. Il suo cuore oscillò. Venne sera anche quel giorno ma il soldato non aveva pace. Ripensava continuamente all’ebreo, alla sua donna e al bambino: non c’era speranza per loro. Troppo freddo, troppo. Cammin facendo, era ormai vicino a casa, una luce squarciò il cielo e illuminò la notte. Marcello indietreggiò e cadde a terra. Non temere. Io ti porto una bella notizia. Il Bambino è nato, le Scritture si sono compiute. Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore. Anche per te. Non temere Marcello, Dio ha avuto pietà di te e vuole liberarti. Corri a casa, ordina a tua moglie di preparare coperte e cibo. Poi, con lei, esci dalla città. Nelle grotte troverete l’uomo, la donna e il figlio. Donagli quel che avrai portato. E non conoscerai più le tenebre. Ma tu chi sei? Perché mi conosci?. Mi chia-mo Gabriele e sono un messaggero di Dio. La strada è davanti a te. Va’, una stella la illumina. E l’angelo lo lasciò. Era una notte davvero gelida quella notte. Un vento da nord sembrava far vibrare ancor di più le stelle e, mentre le lacrime gli bruciavano la pelle, Marcello si sentì solo. Dei del cielo… un messaggero di Dio! Il Dio degli ebrei ha mandato sulla terra il Salvatore, il loro Salvatore. Sono forse pazzo? Che cosa devo fare? . Pregava perché era disperato, ma lassù nessuno sembrò ascoltare le sue parole. Tutto immobile, seppur vivido. Marcello! Marcello!. L’uomo si volse e vide la moglie che gli correva incontro. Tutti sono tornati alle loro case ma tu, che cosa ti è successo?, gli chiese, accogliendo in grembo quel volto disperato. Allora, le raccontò dell’incontro con l’ebreo e di quel messaggero di luce. La moglie saggia ascoltò e capì. Andiamo, facciamo quello che lui ti ha detto. Poi lo sollevò e, insieme, tornarono a casa. Lei preparò una cena con quanto di più buono aveva. Lui raccolse una coperta e della legna da ardere. E, insieme, uscirono verso le grotte. Camminavano piano, in silenzio. Le luci della città erano quasi tutte spente e la strada da percorrere sembrava ancor più fredda e lunga. Tuttavia sopra di loro il cielo vibrava e una stella (o forse era solo uno sbaffo di luce?) li anticipava, proprio come aveva detto quel messaggero di Dio. D’improvviso, erano ormai vicino al tempio, udirono venire da un angolo buio un lamento. La donna si avvicinò. C’era un cieco, proprio lì ai suoi piedi, tutto rattrappito e spaventato. Pover’uomo, diamogli la nostra coperta. Ma dobbiamo portarla all’ebreo!. Abbiamo ancora la legna e il cibo con noi, basterà a scaldarli. Marcello, in disparte, esitava. Una coperta non cambierà niente. Forse, è uno di quei poveracci di ogni mattina. Domani sarà ancora là a gridare, a mendicare un’altra elemosina. Si fece avanti, spinto dal desiderio di scoprire se lo riconosceva ma vide solo un uomo. Allora, Marcello si lasciò toccare e disse alla moglie: Donna, facciamo come hai detto, questi ne ha bisogno quanto il bambino. Così, la moglie depose la coperta sopra il cieco e si rimisero in cammino. La stella sbaffata li precedeva, raggiante. Guardandola, a Marcello pareva che il suo cuore senza pace ora fosse ridotto in tanti piccoli pezzi, tenuti insieme solo da quella luce. Erano ormai giunti quasi a metà strada quando udirono da lontano uno scampanellio, accompagnato da lamenti sommessi e da un frusciare di tuniche al vento. Lebbrosi – esclamò Marcello -. Si muovono di notte per non incontrare gente. Donna, aggiriamoli, seguiamo il vento. Sono ancora lontani – la moglie attese il silenzio alla fine delle sue parole, e poi di nuovo il suono più vicino di quello scampanellio -. Vengono verso di noi. Se passiamo di là dovremmo riuscire ad evitarli. Chissà se avranno trovato di che mangiare oggi…. Marcello si volse brusco: Donna, se facessimo quello che pensi, cosa ci rimarrebbe per la famiglia dell’ebreo?. La legna. Ma anche lei sembrava indugiare, ora che lo scampanellio giungeva proprio da lì vicino. E sia. Marcello abbandonò lungo la strada la cena che la donna aveva preparato con quanto di più buono aveva in casa. Poi prese sua moglie per mano e la condusse nei pressi della scarpata, da dove osservarono non visti il passaggio dei lebbrosi. Guardate! Venite!. Del cibo… e caldo! Venite, venite tutti, prendete. Le campanelle avevano smesso di suonare. Si sentivano solo distinte voci di uomini e un vento innaturale, che ogni tanto si insinuava a rubare accordi ai batacchi. Si rimisero in viaggio, prendendo per i campi. Tutto come prima. C’era sempre silenzio. Solo che la luna, niente più di una falce affilata, aveva perso il suo contorno d’ombra e le stelle, a dire il vero, ora sembravano spente. Tutte, tranne quella sbaffata che sfavillava più intensa e certa, illuminando il loro cammino. Senza più cuore e il petto colmo solo di quella luce di stella, Marcello stava sul sentiero e basta. Camminava e il suo passo gli sembrava goffo, inadeguato a quel senso di attesa che lo trascinava, sempre più veloce, lontano. Le grotte, guarda! Siamo arrivati, laggiù, quelle luci – la donna si interruppe -. Guarda!. Marcello, allora, vide schiere di pastori raggiungerli sulla strada da ogni direzione. Alcuni erano seguiti da greggi, altri portavano con sé chi un agnello, chi galline, e poi anatre e ceste di pesce o pane e tutti cantavano, cantavano inni al loro Dio, inebriati dal loro stesso cantare e da quell’atmosfera sospesa, come la nebbiolina che, qua e là, nascondeva alla vista ora un cespuglio, ora la strada, ora un compagno di viaggio. Stavano stupiti in disparte, ad osservare quella carovana di pastori, quando sentirono dei singhiozzi sommessi provenire da lì vicino. L’aria ferma fu mossa da un alito di vento e la nebbia per un attimo si diradò. Era un bambino, aveva circa dieci anni. Intenerito da quelle lacrime il soldato gli si avvicinò e chiese come mai piangeva. Non ho niente da portare. Dormivo presso il fuoco quando è arrivato quell’angelo e ci ha detto del Salvatore. Allora, sono corso qua, ho seguito quella stella – e la indicò ferma e sfavillante sopra le grotte -. Sono arrivato per primo. Ma poi sono giunti gli altri con tutti i loro doni. E io non ho niente. Sono arrivato per primo ma non serve a niente perché non ho niente da portare. Marcello lo ascoltò. La luce aveva riunito i pezzi. Il suo dolore, l’ebreo, l’angelo, i doni, la strada, le mani svuotate. Ora capiva. Il suo cuore riprese a battere. Prese per mano sua moglie e insieme sollevarono il bambino. Si unirono alla carovana. Portavano legna. La deposero ai piedi del Bambino e insieme si inginocchiarono ad adorare.

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