Portare speranza dentro la storia (Evangelii Gaudium 182-185)

Dal Vangelo si desumono azioni per una promozione integrale della persona umana e per una cultura di comunione che non rivendica comodità
cristiani in Vietnam

Ciò che colpisce è anzitutto l’invito a portare la speranza dentro la storia, con un appello alla concretezza dell’impegno cristiano – «non possiamo evitare di essere concreti» –, a ricavare dal compito dell’evangelizzazione linee di azione conseguenti, per la «promozione integrale di ogni essere umano».

Sembra di risentire parole già espresse da grandi testimoni e maestri della fede che, in ogni epoca, hanno saputo aprire e dare contenuti tangibili al nuovo del Vangelo, mettendolo al centro della nostra vita quotidiana: dai tetti in giù. Perché la religione – come scrive papa Francesco – non esiste «solo per preparare le anime per il cielo». C’è una intensità specifica nell’uso delle parole: «tutte le cose» create da Dio sono poste al servizio del bene comune perché «tutti» – una parola che nel testo viene evidenziata da un corsivo luminoso – «possano goderne».

Non è estemporanea, allora, o accessoria, rispetto alla logica della conversione a cui la fede ci richiama, quella pulsazione diffusa che anche oggi attraversa il nostro tempo e rivendica, innesca, sperimenta il cambiamento sociale: una cultura che si radica nella comunione non è mai «comoda e individualista» e implica sempre «un profondo desiderio di cambiare il mondo», di «lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra». E seppure resta drammaticamente vero come «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», proprio nei settori della vita pubblica consegnati più direttamente alla libertà della coscienza il pensiero sociale cristiano continua a generare esperienze profetiche, esperienze di comunione. Non ci separa all’interno di isole di verità; ci immerge nella fraternità universale.

Daniela Ropelato

docente all’Istituto universitario Sophia

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