Pordenone, chi era costui?

Dal 25 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020 a Pordenone, la mostra rappresenta l'omaggio di Pordenone a Giovanni Antonio de' Sacchis detto Il Pordenone, uno dei maggiori artisti protagonisti del Rinascimento italiano

La mia prima volta nel duomo di Treviso, nella cappella Malchiostro, non mi stupì la tela di Tiziano sull’altare: una Annunciata in carne, gran signora veneta. Ma l’affresco sulla parete, una Adorazione dei Magi grandiosa, spettacolare, con cavalieri cinquecenteschi, muscoli d’acciaio, costumi sgargianti, e una Madonna, ragazza trevigiana. Era Giovanni Antonio de Sacchis, detto Pordenone dalla sua città friulana.  Uno che ha riempito di affreschi simpatici e un po’ bizzarri chiese e chiesette della regione.

Anni dopo, sono entrato nel duomo di Cremona, un romanico solenne. Sulle pareti, le Storie della Passione dipinte da Boccaccino e Romanino, pittori rustici di gran bellezza. Ma la processione gloriosa del Cristo stremato al Calvario e poi la sterminata, grigia e temporalesca Crocifissione sulla controfacciata, con il lanzichenecco-centurione che ci indica il Moribondo, era la ”forza” della pittura. Era lui, Pordenone maturo, che sa di Michelangelo. Ma non lo copia, lo assorbe e s’inventa uno stile gigantesco e umile al tempo stesso, una orchestra patetica dai mille toni. Eccolo il Cristo steso a terra, pallido e bello nella morte, mentre il coro piange sotto la nicchia dorata e la luce inonda noi che entriamo dalla porta laterale della facciata.

Questo è il Pordenone, genio friulano nato verso il 1483, lo stesso anno di Raffaello, e morto cinquantenne a Ferrara nel 1539.  Uno che Tiziano temeva per la sua vis drammatica, tanto da fare in modo- come per il Lotto –  che se ne andasse da Venezia dove era un concorrente temibile. Non prima di aver lasciato nella chiesa di san Rocco due portelle d’organo strepitose.

Forza erculea, fisica e morale in san Martino che si volta con gran cavallo a dare il manto al povero e un gigantesco Cristoforo in ascolto del Gesù piccolissimo sulle spalle. Teatro sconvolgente, dove il pittore non cade mai nella retorica, a differenza di Tiziano.

Pordenone, nella mostra aperta da poco nella sua città dopo 35 anni con un bel ventaglio di opere sue – ma anche di Giorgione, Bassano, Tintoretto, Lotto, Correggio, Savoldo, Moretto, Tiziano e altri – è artista geniale, affrescatore straordinario, che unisce i l realismo popolare ad una concezione grandiosa dell’ambiente e veneto-lombarda del colore.

La tavola della Madonna e santi nel duomo di Cremona con i l donatore inginocchiato (1522) è una di quelle Sacre Conversazioni affettuose che Pordenone però mitiga nello sguardo di un san Pietro arcigno: i vecchi dell’artista sono o burberi o ridanciani . La Trinità a san Daniele del Friuli (1535 circa) vede un Padre vecchio sbigottito che mostra il Figlio morto ed esangue fra le nubi a dirci di “aver fede”. È pathos sincero, è monumentalità voluta.

Ma Pordenone non è solo pittore di spettacoli sacri, di epici momenti biblici, ma- e questa è forse una novità – pittore di sguardi. Intensi, diretti, formidabili che ci pungono nell’anima. Vedere il Cristo portacroce di Vienna (1515) che si volta con la bocca schiusa a dirci di seguirlo, con il bellissimo vestito rosso ricamato d’oro. Guardare il san Rocco nel duomo cittadino, alto e plastico, che ci mostra la ferita trafiggendoci con una occhiata quasi feroce. E chiudere con il confronto tra il Compianto del Correggio, così flessuoso e prebarocco e la sua Deposizione vasta e scura, col Cristo enorme e i l coro drammatico nel dolore muto.

Ecco chi era Pordenone. Un gigante dell’arte finalmente rivelato.

Il Rinascimento del Pordenone. Pordenone, varie sedi. Fino al 2.2 (catalogo Skira)

 

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