Il popolo del Myanmar colpito, fino a quando?

In Myanmar si contano ormai più di 100 morti e sono alcune migliaia le persone colpite dai cecchini o fatte sparire, arrestate senza nessuna procedura legale. Una comunità internazionale divisa e che resrta silente tradisce tutti, soprattutto i più deboli. Oggi è la volta del Myanmar
Myanmar Foto Ap

Myanmar e violazione dei diritti umani. Come ho scritto nel mio precedente articolo, la situazione in Myanmar si fa, giorno dopo giorno, sempre pìu pericolosa per la gente: molti giovani manifestanti lasciano la vita sulle strade di Yangon, di Mandalay e di molte altre città del Myanmar.

Si contano ormai più di 100 morti e sono alcune migliaia le persone colpite dai cecchini o fatte sparire, arrestate senza nessuna procedura legale, impossibile sapere quanti sono. Tante lacrime, tanta disperazione, ed ora anche perdita di fiducia nelle istituzioni internazionali, soprattutto nelle Nazioni Unite, che oltre a qualche dichiarazione, in pratica, non hanno fatto nulla di concreto.

La gente si sente abbandonata dalla comunità internazionale se non addirittura tradita: dopo la repressione del 1998, quella del 2007 e dopo la crudele operazione militare del 2017 contro i rohingya (“sembra un esempio da libro di testo sulla pulizia etnica”, ha detto l’Alto Commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al-Hussein), purtroppo anche questa volta sembra che la protesta sia destinata ad essere affogata in un bagno di sangue.

Sono molti i video che stanno girando sul web a documentare i crimini contro i diritti dell’uomo che si stanno perpretrando in questi giorni. Ma in pratica, possiamo domandarci, gli esecutori e i militari del Tatmadaw, saranno mai presi e processsati? Sono 70 anni che la stanno facendo franca, in barba a tutte le dichiarazioni sui media e nei palazzi di vetro e di ferro. Nessuno di loro e dei loro nonni ha mai fatto un giorno di galera o subito un processo.

Sarebbe ora di mandare un messaggio a questi signori della guerra, o meglio signori della morte, che vogliono ostinatamente comandare in Myanmar, ai quali non importa nulla di aver perso le elezioni. “È il momento più buio della storia del nostro paese”, ha affermato Mahn Win Khaing Than, capo del govrerno parallelo formato dalla maggioranza degli appartenenti al partito Nld, che ha stravinto le elezioni di novembre scorso.

Sì, è un momento davvero buio e di sofferenza inaudita, soprattutto perchè la comunità internazionale, in primis la Cina, a seguire India, Russia e Vietnam, non vogliono condannare in maniera inequivocabile il regime instaurato, anche stavolta, dai militari del Tatmadaw. Tutti gli altri Paesi dell’Asean hanno chiesto il rilascio dei prigionieri politici (Aung San Suu Kyi, il Presidente Win Myint e tutti gli altri) ed il ritorno alla democrazia.

Le dichiarazioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di condanna verso il Tatmadaw, perdono di incisività quando la comunità internazionale è divisa. La gente del Myanmar sta perdendo la calma e la pazienza: domenica scorsa sono state attaccate e date alle fiamme 32 fabbriche cinesi (in conproprietà con i militari) nella zona di Yangon.

Conosco la zona di Hlaing Thar Yar dove sono avvenuti gli attacchi: le fabbriche sono circondate da una “corona di spine” di capanne malsane, senza acqua potabile nè corrente elettrica. Accanto ai muri degli impianti giocano nelle pozzanghere bambini mezzi nudi. Ho pianto quel giorno: ero insieme ad alcuni amici per distribuire uova sode alle famiglie del quartiere, aiuti ottenuti da un programma di nutrizione.

Qualcuno ha la faccia tosta di chiamare “sviluppo” queste situazioni. In realtà, i militari birmani approfittano della povertà per far lavorare la gente a poco prezzo: e quando si ribellano, i proprietari stranieri dicono: «Sono affari interni del Paese, non possiamo intervenire». La gente è molto arrabbiata contro “la Cina”, e ha minacciato di distruggere il gasdotto cinese che attraversa il Myanmar per 771 km. Una persona mi ha detto: «Se la gente che muore per le strade del Myanmar è un affare interno che dobbiamo sbrigare noi, allora anche il gas che passa sul nostro territorio è una questione prettamente interna e lo faremo saltare in aria».

In realtà, la cosa che “i cinesi” temono maggiormente non sono le navi americane al largo di Taiwan e nemmeno quelle inglesi nel Mar Cinese Meridionale, vicino alle coste del Vietnam, ma la diffusione di un sentimento anti cinese e per tutto quanto è cinese. E questo sentimento si diffonde e prende sempre più radici in molte nazioni, nel mondo intero.

Oggi è la vota del Myanmar. Ma lo stesso sentimento esiste in India, Sri Lanka, Laos, Vietnam, Filippine, Malaysia e Indonesia. Certo, è una cosa grave e deplorevole, ma l’unico modo per scongiurarlo si chiama “giustizia”. Fino a quando pensano di poter “succhiare” materie prime e sfruttare la manodopera a bassissimo costo in queste nazioni servendosi di chi tiranneggia la propria gente, la disprezza e la uccide? Le giade al collo delle signore in giro per l’Asia sono macchiate di sangue: ci sono persone che per 3 euro al giorno rischiano la vita per trovare anche una piccola giada da poter vendere. E come le giade, anche i nostri cellulari sono spesso macchiati di sangue.

 

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons