Jacopo Carucci detto il Pontormo, il silenzio e le lacrime

Invito a conoscere l’opera di Jacopo Carucci detto il Pontormo. Artista inquieto segnato dalle vicende del suo tempo, dalla ribellione di Martin Lutero al Sacco di Roma del 1527
Pontormo, dettaglio deposizione. Wikipedia

Ora che si possono finalmente visitare i luoghi d’arte sarà possibile entrare in un gioiello fiorentino, appena passato Ponte Vecchio e andando verso Palazzo Pitti, cioè la Cappella Capponi a Santa Felicita.

Da poco è stata pulita la grande tavola del Pontormo che raffigura la Deposizione, o meglio il Compianto di Maria sul figlio morto.

Jacopo Carucci detto il Pontormo dal luogo natale (1494- 1557) era un uomo strano, solitario, introverso, ipersensibile.  È stato allievo di Andrea del Sarto, a Roma ha visto gli affreschi di Michelangelo rimanendone sconvolto. È artista esperto e colto.  Ma ha dentro di sé un rovello, una malinconia profonda che gli viene dal carattere e dalle vicende tristissime del suo tempo, dalla ribellione di Martin Lutero al Sacco di Roma del 1527.

Jacopo si chiude per tre anni, fino al 1528, nella cappella, non fa entrare nessuno. Affresca i tondi con gli Evangelisti un po’ spiritati e una sbigottita Annunciazione. Poi dipinge la tavola della Pietà.

C’è in quest’opera un’aria di sospensione, di paura e di sgomento.  L’atmosfera dei tempi – peste, guerre – che la rendono tanto attuale. Dal Calvario, che si intravvede più che vedere, discende una piccola folla. I gesti sono di compassione, di pianto: lui stesso, il pittore, si raffigura di lato – barba e capelli biondi – con uno sguardo smarrito.  Maria in bianco-azzurro sta per svenire ed è sostenuta dalle donne, Cristo – dal corpo niveo come nella Pietà vaticana – è candido, giovane: risorgerà. Ma i discepoli non lo sanno. Perciò, Giovanni in viola pallido lo sorregge guardando nel vuoto, e un altro piegato in ginocchio sta con gli occhi lucidi, angosciato.

La cosa che fa impressione a prima vista è il colore: innaturale, mentale. Rosa pallidi, gialli sul bianco, verdi marci, improbabili vesti azzurre in Giovanni: siamo già nel surrealismo. Non sono tinte naturali, ma artificiali, astratte. I colori si trasmutano l’uno nell’altro così come i sentimenti di questo coro non gridato, sommesso. Il silenzio, l’assenza di parole, è il grande protagonista. Nessuna lacrima è visibile, ma lo strazio, la malinconia di questa Pietà sono immense, tuttavia interiorizzate. Per quanto Cristo limpido sia fin troppo bello, Maria e gli altri sembrano inconsolabili. La luce elettrica che bagna i corpi e le vesti getta però uno spiraglio di speranza nella tavola, luminosa tra i pieni e i vuoti nello spazio senza tempo.

È come una sinfonia di pause, di stacchi, in un coro che ricorda la Passione secondo Matteo di Bach.

Nel tempo della sospensione – risorgerà il Cristo come ha detto? – dell’ansia e del timore, resta solo l’attimo, quello del dolore che chiama alla speranza, attesa nel silenzio.

Contemplare, perciò, la tavola, restituita allo splendore cromatico e luministico, agli azzurri cangianti in verde giallo e viola, al vagare delle luci come fiaccole, è contemplare l’attesa che una speranza si compia. Pontormo, reduce dalla fuga dalla città colpita dalla peste e dalle soldataglie di passaggio, contempla con occhio ancora turbato la speranza che verrà dal Cristo morto e cadavere, ma illuminato. La vita poteva continuare, allora come oggi.

 

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