Il ponte di Archimede… in Norvegia

Un’autostrada avveniristica, la capacità di investire in progetti strategici, una italiana sul ponte di comando

Riscrivere la storia dell’ingegneria e della viabilità: la Norvegia lancia il più importante progetto infrastrutturale della sua storia. Si tratta di un’autostrada che collegherà i suoi fiordi senza bisogno di traghetti, coprendo i 1.100 km che vanno da Christiansand, al Sud, fino a Trondheim, a Nord, lungo la costa, attraverso ponti pioneristici, tunnel da record e porzioni di strade sommerse o sospese. Sarebbe come andare da Catania a Firenze con 7 stretti di Messina in mezzo. Fantascienza? Non in Norvegia, dove sono già iniziati i lavori. Lo scopo è permettere a uomini e mezzi di spostarsi lungo l’arco del territorio norvegese in non più di 11 ore, contro le 21 attuali, evitando 7 traversate in nave dei fiordi. La soluzione minimizzerà impatto visivo e inquinamento acustico, salvando la fauna locale dall’estinzione.

Tunnel sottomarino in NorvegiaL’investimento da 47 miliardi di dollari comprende Rogfast, galleria stradale sottomarina (la più lunga e profonda al mondo) di 26,7 km a 392 metri sotto il livello del mare, e Rørbru, galleria galleggiante sottomarina di 4 km a 30 metri sotto il livello del mare, senza ancoraggio al fondale. Quest’ultima prende il nome da Archimede di Siracusa, lo scienziato del III secolo a.C, perché è basata sul principio della spinta idrostatica, che consente di evitare piloni sottomarini, contando solo sul sostegno di pontoni galleggianti ancorati alle rive, in modo da consentire la navigabilità in superficie nel fiordo di Sognefjord, il “Re dei fiordi”. La galleria prevede una corsia per il traffico auto, l’altra pedonale e ciclistica. Questa meraviglia, ideata da Archimede duemila anni fa, sarà realizzata in Norvegia da un’italiana, la comasca Arianna Minoretti, ingegnere civile strutturista, laureata nel 2004 al Politecnico di Milano, scelta per i suoi studi sul Rørbru dalla Norwegian Public Roads Administration (NPRA).

Perché ha lasciato l’Italia?
Nel 2013 mio marito ha accettato una posizione presso l’università di Trondheim, così ho cercato un’offerta di lavoro che rispecchiasse il mio curriculum. Ho trovato questo bando, mandato il cv, fatto il colloquio… ed eccomi qui. Col passare degli anni ho iniziato ad occuparmi sempre più del “ponte di Archimede”, tra le diverse strutture valutabili, grazie al lavoro di decine di persone tra consulenti di ingegneria, dipartimento di difesa norvegese, ricercatori, docenti universitari e dottorandi. Sono responsabile per gli studi su questa struttura.

Cosa manca all’Italia per agire con questa efficacia?
Il paragone è difficile: da un lato per la disponibilità di risorse economiche derivanti in Norvegia dallo sfruttamento di petrolio e gas gestiti nell’interesse dei cittadini; dall’altro per le diversità culturali. La Norvegia investe in progetti strategici a lungo termine, e la popolazione non si stupisce di pagare per ciò che riceve. Le tasse sono alte, ma la gestione dei fondi pubblici è disponibile per chiunque voglia prenderne visione.

Esiste un forte senso di responsabilità civica: la proprietà pubblica è sentita come cosa di tutti e rispettata ancor più di quella privata. I controlli sono costanti, si usa solo la carta di credito e tutti i pagamenti sono tracciati. I politici hanno sane abitudini di austerità nell’uso del denaro collettivo e i dipendenti del settore pubblico sono soggetti a un controllo sulle spese. Il benessere è distribuito e la società basata sull’uguaglianza, grazie ai proventi del settore petrolifero: non mancano problemi, ma a differenza dell’Italia c’è una visione strategica a lungo termine.

Vedrebbe un progetto simile per lo Stretto di Messina?
Un progetto per il ponte di Messina fu proposto nel 1969 da Alan Grant & partner, poi abbandonato e riproposto vanamente da alcune compagnie italiane negli anni ’80. Il ponte di Archimede è una struttura ottimale per ambienti ove il paesaggio va salvaguardato e l’impatto acustico limitato: essendo una struttura sommersa, riesce a ridurre in modo naturale i carichi principali sulla struttura stessa, cosa non possibile con ponti galleggianti o tradizionali. Rispetto al tunnel sottomarino, riduce l’uso di suolo e limita la lunghezza dell’attraversamento evitando pendenze eccessive per gli accessi: è una struttura modulare, quindi il costo di costruzione non risente della lunghezza dell’attraversamento come invece succede, ad esempio, per un ponte strallato. È costoso ma, con l’interesse del settore di prefabbricazione, i costi potrebbero essere ridotti, rendendolo competitivo anche per attraversamenti brevi.

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