Pollini-Chung a Santa Cecilia

Gioia e commozione fra gli oltre 2700 sotto le volte in legno di ciliegio, con cui Renzo Piano ha rivestito la Sala Santa Cecilia nel romano “Parco della musica”. L’evento Pollini ha magnetizzato la sala, dopo la Fantasia in do min. per pianoforte soli coro e orchestra di Beethoven: lavoro non esaltante, ma banco di prova per il dialogo fra le famiglie strumentali, l’orchestra e il piano: gioco di rapporti, su cui svetta un Pollini dal suono in cristalli di luce: ora può suonare tutto, da Bach al contemporaneo, perché ha “liberato” il cuore, ed è grande in ogni cosa che fa (magistrali il tocco, l’uso del pedale, il fraseggio, la dinamica, il colore…). Del resto l’acustica della sala , molto buona – con gli inevitabili aggiustamenti – lo valorizza al massimo. Ovazioni interminabili, e non di circostanza. Anche per il direttore Chung che ha offerto una violentissima Sagra della primavera (Stravinskji) da lasciare senza fiato (lui e noi), dopo le opere “su commissione” di Fabio Vacchi (Terra comune per coro e orchestra), Fabio Nieder (Due lumi per coro e orchestra), Alberto Colla (Somnium per coro eorchestra). Lavori questi che di fronte a Pollini rischiavano di apparire di minor rilievo. Eppure, nonostante una cifra ormai comune – un senso di dolorosa tetraggine – queste musiche ci prendono, nella loro sofferta tensione verso una luminosità perfetta ancora non raggiunta, da cui il faticoso tentativo di “fondere” passato e futuro, apprezzato dal pubblico. Nel quale, oltre al valore del messaggio beethoveniano “quando lo spirito si eleva, un coro celestiale risuona tutto intorno”, può restare il dubbio sul programma d’inaugurazione, senza nessun “grande” italiano: ma forse Roma non è in Italia, oltre che in Europa? E SCHUMANN AL “VECCHIO” AUDITORIO Attenti a Gianandrea Noseda, perché il giovane direttore milanese è di gran razza. La Seconda Sinfonia di Schumann lo dimostra. Noseda ha il gesto che suscita il suono, raccoglie il flusso dell’orchestra e “mostra” Schumann, la sua anima dilatata fra due estremi: l’esuberanza fantastica e la tensione a trascendersi. Evidentissimo nel terzo tempo Adagio espressivo di ascensioni liriche (le assimilerà bene il Wagner di Tristano) straordinarie, con un’orchestra che muove il suono fluidissimo, palpitante. Noseda ha la capacità di cogliere l’essenziale di ogni brano. Eccolo nel Concerto per corno e orchestra di Oliver Knussen, cinquantenne scozzese che affida alla plasticità di un grande, il cornista Radovan Vlatkovic, l’interpretazione del suo pezzo così rarefatto, dove lo strumento “si apre come un fiore notturno”. Brani di tale pienezza fanno prevedere per la classica anni luminosi, come ha compreso il pubblico entusiasta.

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