Più forti della paura

Viaggio tra la gente colpita dal lungo sisma iniziato il 20 maggio. Una regione ferita, ma decisa a ripartire quanto prima.
I capannoni crollati per il terremoto

Sembrava un terremoto “nascosto”, quello delle case lesionate all’interno e delle persone ferite dentro. Era la sensazione che si avvertiva visitando i comuni del modenese e del ferrarese colpiti dal terremoto del 20 maggio. Non c’era la distruzione generalizzata dell’Aquila; il numero delle vittime, inizialmente sette, era stato contenuto, la situazione poteva non sembrare tragica. C’era comunque il dramma di un sisma che aveva scosso la popolazione nelle sue fibre più intime. Poi, con le scosse ancora più devastanti dei giorni seguenti, il terremoto ha cessato di essere “nascosto”, è venuto fuori in tutta la sua tragicità, non solo per le 17 vittime che si sono aggiunte, ma per la devastazione che si è abbattuta su tante di quelle costruzioni che erano state risparmiate, o quasi.
 
Il nostro reportage inizia a Medolla, dove ci accolgono alcuni amici. È l’ora di pranzo e mentre stiamo per sederci a tavola, vediamo schizzare fuori come un grillo qualcuno dei commensali: c’è stata una scossa di lieve entità, che noi non abbiamo nemmeno percepito. Consumiamo velocemente il pasto perché gli appuntamenti sono incalzanti.
Fuori, nel giardinetto antistante la casa, ci aspettano una decina di vicini radunati per l’occasione. Giuseppina racconta un episodio emblematico: «Domenica, verso sera, siamo nel parcheggio con i vicini e vediamo poco più in là una tenda. Verso di noi si dirigono due indiani. Dicono di appartenere alla comunità sikh di Novellara e di essere venuti qui per darci il loro sostegno. Sono molto organizzati, ci offrono pasti caldi, ripassano di frequente con delle bevande. Li sentiamo parte di noi».
Mario ha un’impresa edile ed ha appena finito di abbattere un camino pericolante. Fa notare che più passano le ore, più crescono le crepe interne delle case: anche quelle meno colpite all’inizio cominciano adesso a destare preoccupazione. Lui stesso, con le seconde forti scosse del 29 maggio, subisce per la sua impresa gravi conseguenze.  
Tra una scossa e l’altra in diretta, Giulia ci descrive il suo impegno nella palestra che accoglie gli sfollati. A Medolla, diversamente che negli altri paesi, dove i soccorsi sono gestiti direttamente dalla Protezione civile, l’Agesci locale ha inizialmente coordinato l’emergenza per poi passare le consegne alla Protezione civile, in questo caso del Molise.  
 
L’accoglienza
 
Gli sfollati, appunto, in pochi giorni avevano raggiunto quota settemila per poi raddoppiare. Sono sparsi tra campi di accoglienza, strutture al coperto – per lo più palestre, scuole, edifici comunali – e alcuni alberghi. Si tratta soprattutto di anziani soli e di immigrati. Chi può fare a meno di ricorrere alle strutture di accoglienza vive praticamente all’aperto, favorito dal fatto che qui, a parte alcune palazzine di pochi piani, la maggior parte delle case sono villette con un giardino più o meno piccolo. La notte si dorme nelle tende istallate nel proprio giardino o nel camper di proprietà o affittato per l’occasione. Le macchine “vissute”, con coperte, borsoni e quant’altro, testimoniano che tanti le usano ancora per dormire; i parcheggi all’aperto diventano i luoghi più affollati e lì si condivide la paura, nel tentativo non sempre riuscito di esorcizzarla.
Nessuno vuole rimanere da solo e succede che per la prima volta dopo anni fra coinquilini o vicini di casa ci si ritrovi a parlare, ad offrirsi un tè caldo, qualche biscotto. Numerose le persone che non hanno più avuto il coraggio di mettere piede in casa da «quella notte alle 4».
Ora l’emergenza nell’emergenza è riuscire a dominare la paura, arginare il diffondersi di una psicosi collettiva che rende difficile la gestione della vita quotidiana. Cresce la lista di psicologi che si sono messi a disposizione. E chi può lascia il paese, alla ricerca di un po’ di serenità.
 
I luoghi simbolo
 
Un leit motiv accomuna lo sgomento di giovani e anziani: qui da subito non è rimasta in piedi una chiesa. A Medolla come a Cavezzo, a Finale Emilia come a Mirandola, le chiese, insieme al patrimonio artistico e culturale, sono le costruzioni che hanno subìto più danni. Lino, un anziano, ci confida fra le lacrime: «Sono andato davanti alla mia chiesa e ho pianto vedendola distrutta. Forse, mi son detto, Dio vuole che usciamo dalle chiese e andiamo in mezzo alla gente».
Gli abitanti del posto continuano a guardare sbigottiti i simboli della loro identità che non ci sono più. Fortezze, torri, orologi, campanili, castelli sono stati distrutti o danneggiati. «San Felice era l’unico paese che conservava i resti delle fortificazioni medievali – ci dice Paolo Campagnoli, archeologo del posto –, e adesso rimane ben poca cosa. Mi auguro che ci siano la volontà e l’intelligenza di ricostruire. I soldi si possono trovare e le competenze ci sono, sarà una questione di scelte». Nella ricerca delle comunità locali di dare un senso al crollo degli edifici di culto, comprensibile per la vecchiaia delle costruzioni, la conclusione più diffusa è quella di puntare a una chiesa fatta di pietre vive.
 
Le imprese
 
I capannoni e i laboratori delle tante aziende del territorio, lo sappiamo, sono fra le costruzioni più colpite da un sisma che ha avuto un impatto più grave sugli edifici grandi e pesanti – non dimentichiamo che siamo in una zona in origine paludosa –. Impressiona vedere lungo le strade interi capannoni implosi su sé stessi, pareti di cemento spazzate via come sabbia, cumuli di lamiere accartocciate.
La Ceramica di Sant’Agostino è una di queste aziende, forse la più mediatizzata: qui sono morti due dei quattro operai che hanno perso la vita la notte del 20 maggio; il sisma del 29, invece, non ha fatto altri danni. Ci accoglie uno dei due fratelli Manuzzi, proprietari della ditta, l’ingegnere Govoni e Andrea Fipertani, responsabile dei servizi di prevenzione e protezione. Da qualche ora hanno saputo che per loro sono in arrivo gli avvisi di garanzia per la morte degli operai. Un “atto dovuto” che certo aggiunge turbamento allo sgomento. Sono disponibili a raccontarci qualcosa, perché confidano che la nostra sarà «un’informazione intelligente, non la caccia al colpevole che hanno messo in atto tante testate giornalistiche». Si coglie nelle loro parole la determinazione a ripartire quanto prima, non appena i locali saranno dissequestrati e arriveranno le autorizzazioni a sgomberare le macerie.
I danni sono ingenti: circa dieci milioni di euro solo quelli derivanti dalle piastrelle distrutte, ma «è più quello che è rimasto in piedi e abbiamo già pile di progetti pronti per la ristrutturazione. Sarebbe molto più facile mollare tutto, ma qui lavorano 350 persone, senza considerare l’indotto», afferma il proprietario. «Ce la possiamo fare grazie all’attaccamento all’azienda dimostrato da tutti – sostiene Andrea Fipertani –. Fra di noi anche in questi momenti di grande tensione c’è condivisione e sostegno reciproco. Al di là di tutto rimarrà magari quella pacca sulla spalla per darsi coraggio e andare avanti, senza pensare solo a sé stessi».
 
Il coordinamento
 
La condivisione, appunto. Qualcuno dice che non è stato semplice accogliere l’aiuto di chi si era reso disponibile da subito, anche da altre parti d’Italia. Qui l’organizzazione non manca e la Protezione civile locale ha preso ben presto le misure dell’emergenza per poterla gestire al meglio. La presidente, Rita Nicolini, che incontriamo presso il Centro di coordinamento, ci racconta della rapidità della messa in atto degli interventi più urgenti, della fattiva collaborazione con la Protezione civile nazionale da una parte, con i diversi sindaci, gli enti provinciali e regionali dall’altra, della scelta di lavorare con personale proprio.
In effetti ogni campo è gestito da un’unità regionale e tutto sembra sotto controllo. Ma c’è chi lamenta di essere stato dimenticato o non sufficientemente supportato. E di fronte al crescere dei bisogni i sindaci decidono di lasciarsi aiutare anche in maniera un po’ più “spontanea”, seppure non improvvisata.
Che da queste parti si abbiano gli strumenti per rimboccarsi subito le maniche non è solo un’impressione. Ce lo conferma il presidente della provincia di Modena, Emilio Sabattini, descrivendoci il piano già pronto per la ricostruzione di scuole e infrastrutture danneggiate, la disponibilità delle banche a finanziare i primi interventi e la determinazione a «far ripartire il sistema produttivo»; con l’invito allo «Stato di farsi presente, venendo ad ascoltare la gente ed emanando una legge ad hoc che permetta la ripresa». Gli emiliani fanno tanto, ma non possono fare tutto. C’è spazio per la collaborazione. Anzi, con l’aggravarsi della situazione, non se ne può fare a meno. Le richieste più immediate sono quelle di case vuote da mettere a disposizione degli sfollati e di fondi per la ricostruzione.
 
 
Chi desidera contribuire all’aiuto ai terremotati, può utilizzare i seguenti riferimenti:
INTESTATARIO: Associazione Solidarietà
BANCA: Cariparma Crédit Agricole
CODICE IBAN: IT34F0623012717000056512688
CAUSALE: Terremoto in Emilia Romagna
Con Carte di Credito:
Versamenti tramite PAYPAL ai Link presenti sul sito www.solidarietaonlus.org
con la Causale: Terremoto in Emilia Romagna.

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