Più che un angelo in paradiso

Un avvenimento recente mi ha fatto comprendere meglio quale è il sentimento della maternità. Alcuni mesi fa è nata la nostra quarta bambina, e dopo mezz’ora è andata in paradiso. Per la nostra famiglia è stata una esperienza molto forte, perché non eravamo preparati affatto a perderla. E per me in particolare, è stata importante perché ha avuto radici profonde, che toccavano proprio l’intimo dell’anima… Ma è meglio che racconti il fatto, così com’è. Quando entrai in ospedale, era di notte. Mi resi subito conto che i medici di turno nutrivano delle preoccupazioni molto serie sulla possibilità che la bambina, nascendo, potesse vivere. Tutto il personale di turno era lì, intorno a me, con quell’aria che si crea di fronte alle situazioni difficili. Ne provai un senso di disagio: capivo bene di procurare molto disturbo, una certa agitazione. Non avrei voluto pesare sugli altri. Ma non potevo farne a meno. E fu allora che le radici profonde affiorarono, dentro di me: le radici della mia fede, del mio impegno di credente; ecco, pensai, raccogliendomi un momento: debbo ricordare, ora, che ogni uomo è mio fratello. E guardare queste persone con quest’occhio, comportarmi con loro con quest’animo… Così, attimo per attimo, mi misi attenta a fare serenamente quelle poche cose necessarie, che di volta in volta mi richiedevano. I medici mi tenevano continuamente informata della situazione. Mi chiedevano: Signora, sente il battito?. Il battito lo sentivo bene, perché mi avevano collegato con una macchina che registra, appunto, il battito del cuore del bambino. Ma poi, una volta nato, sarebbe riuscito a sopravvivere da solo? Nonostante tutto, quello della nascita fu un momento gioioso. E non solo per me: anche per chi mi assisteva. È femmina, signora: cosa si aspettavano a casa?. Confermai che tutti volevano proprio una femminuccia: anche l’unico maschio che abbiamo, non desiderava affatto un pendant, ma sperava in un’altra bambina, che lo consolasse di tutti i difetti di cui riteneva provviste le attuali sorelle. La bimba era molto piccola, sottopeso, e non piangeva come fanno tutti i neonati. La portarono subito in un locale attiguo, dove io, girando la testa, potevo seguire attraverso un vetro di separazione tutti gli sforzi che facevano per rianimarla. E ancora, per essere nell’amore, spostai, dentro di me, la speranza che vivesse, spostai la paura che, vivendo, potesse non essere normale: era lei che contava, non i miei sentimenti. A un certo momento, una signorina venne a chiedermi se volevo che fosse battezzata. La ringraziai, e le dissi che le dessero il nome di Tecla: era il nome che avevamo scelto, insieme con mio marito e i miei bambini, prima che nascesse. Mezz’ora di tentativi. Poi vidi i medici ritornare da me. Capii: la bambina era morta.Me la portarono, perché la vedessi, nel momento particolare in cui stava cambiando colore: aveva ancora un colore da viva, nella parte superiore del corpo: nel resto era molto bianca, ormai. È difficile a spiegarsi, ma in quel momento la sentii, come dire, nella sua realtà umana, in tutta la sua ricchezza di umanità, pur essendo vissuta solo mezz’ora. Perché non le era stata data solamente la grazia del battesimo, ma in quella mezz’ora di vita la piccina aveva vissuto l’agonia. Quando mi dicono, ora, hai un angioletto in paradiso, sento che noi, nella nostra famiglia, abbiamo qualcosa di più, un essere umano che, in Gesù, ha patito l’agonia: in Gesù per il battesimo e in Gesù nell’agonia, in questa mezz’ora di vita che le è stata data… Sentivo che era piccola, non aveva avuto umanamente la possibilità di sopravvivere,ma aveva la potenza in sé di entrare in paradiso, portandosi dietro molti pesi, che in quel momento non riuscivo a portare io. E per lei, in quel momento, vedevo spalancato il paradiso; e ci sarei andata volentieri anch’io. Poi mi resi conto che non ero io che egli in quel momento voleva, ma, prendendosi la bambina, desiderava forse che rimanesse qualcuno ad offrirgliela. E può sembrare molto strano, a dirlo, così: ma ero contenta. Di una contentezza che non si può spiegare, si può vivere.

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