Pinocchio

Èricco di suggestioni figurative e di trovate geniali, ma, soprattutto, di intuizioni relative alla maturazione della persona. Benigni, infatti, volendo mantenersi fedele allo spirito di Collodi, si è trovato di fronte a contenuti della psiche umana, attivi in ogni epoca e dotati di una vitalità propria. Ha confessato di essersi commosso al loro contatto. E si è impegnato con la moglie Nicoletta Braschi a interpretarli, prestando lui la propria geniale bizzarria e lei la capacità di rappresentare una femminilità numinosa e benefica. Forse nella storia di questo Pinocchio è adombrato il percorso che Benigni stesso sta facendo nello spettacolo: da una prorompente frenesia comica ad una recitazione più controllata e rispettosa di quei valori che l’umanità ha acquisito col tempo. E, forse, è stato beneficamente influenzato dalla compagna, che impersona l’altro dei due pilastri del film, la fata dai capelli turchini: la vera madre del burattino che lo guida lasciandolo libero di sbagliare, perché impari dai propri errori. È una idealizzazione dell’amore materno, un vero e proprio archetipo, che interviene e soccorre nei momenti cruciali. Quello che entra nel tronco al tocco dellafarfalla vivificatrice, facendolo rotolare per il paese e portando scompiglio, è un piccolo démone, tutto voglia di vivere e di giocare gioiosamente, per nulla cattivo, ma ignaro di ogni forma di autocontrollo. Tuttavia l’esuberante energia vitale dell’inizio non va persa, ma progressivamente diventa amore per il padre e positiva voglia di “crescere”. Era il punto a cui voleva portarlo la fata, che gli riappare per operare in lui la definitiva trasformazione corporea. L’irrequieta vivacità, quella indomita e bugiarda, si allontana dal ragazzo sotto le sembianze del burattino di prima, come ricordo di un’esperienza passata, ma destinato a sopravvivere nella dimensione sempre produttiva e fantastica dell’arte. Regia di Roberto Benigni; con Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Carlo Giuffrè, Kim Rossi Stuart.

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