Pietro Parolin nuovo segretario di Stato vaticano

Diplomazia e cura pastorale. Per l’ex nunzio in Venezuela il servizio alla Santa Sede è stato sempre un modo per esercitare la spiritualità sacerdotale
Pietro Parolin

Diplomazia e pastorale. Sembrano essere questi i due binari che hanno portato alla nomina di Pietro Parolin, nunzio in Venezuela, come nuovo segretario di Stato del Vaticano al posto del card. Tarcisio Bertone. Per cambiare papa Francesco torna all’antico e promuove un diplomatico ex allievo del card. Agostino Casaroli maestro dell’Ostpolitik verso i Paesi dell’Europa dell’Est sotto il comunismo. Pietro Parolin, oltre per la sua consolidata carriera diplomatica, è scelto per il suo approccio pastorale: attento alle periferie e ai giovani disagiati. In molti lo ricordano, nei condomini romani, per le sue visite e la semplice vita di condivisione e accompagnamento. Dal 1996 al 2000 è stato, infatti, direttore di Villa Nazareth a Roma, che si occupava di studenti meritevoli ma privi di mezzi economici.

Nato 58 anni fa a Schiavon, in provincia di Vicenza, è il più giovane segretario di Stato dopo Eugenio Pacelli, che ne aveva 53 al momento della nomina. Segnato, fin da piccolo, ad appena 10 anni d’età, dalla scomparsa del padre che viene travolto da un’auto sulla strada tra Bassano e Vicenza, cresce, tra mille sacrifici, con la mamma, una sorella e un fratello distinguendosi per una sensibilità verso Dio che lo porta a fare il chierichetto e a entrare in seminario all’età di 14 anni. Il papà stesso, che gestiva dapprima un negozio di ferramenta e poi vendeva macchine agricole, era solito andare a messa ogni giorno. Il ragazzo ha stoffa e il parroco di allora, don Augusto Fornasa, intravede la possibilità di una vocazione che sfocerà nell’entrata nel seminario di Vicenza, la maturità classica, gli studi di filosofia e teologia, fino all’ordinazione sacerdote del 1980 e due anni come vice parroco a Schio.

Ma don Pietro Parolin evidentemente è un predestinato. A Roma per studiare diritto canonico alla Pontificia università gregoriana, viene segnalato, non si è mai saputo da chi, per entrare, siamo nel 1983, nella Pontificia accademia ecclesiastica. Comincia così, senza cercarla, ma in balia delle circostanze, la sua carriera diplomatica. La sua prima missione è in Nigeria, poi in Messico dove darà il suo apporto, nel 1992, per il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e l’allacciamento di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la nazione messicana.

Lo stesso anno è richiamato a Roma per lavorare nella seconda sezione della Segreteria di Stato dove vengono apprezzate le sue qualità nel seguire dossier su Spagna, Indonesia, Paesi africani e latinoamericani. Dieci anni dopo è vice primo ministro degli esteri del Vaticano e si occupa di questioni delicate come il Vietnam, Israele, la Cina. È qui che vengono in evidenza gli insegnamenti del card. Casaroli per cui è sempre opportuno partire da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide. Con il Vietnam si riallacciano le relazioni diplomatiche, con Israele si affrontano le questioni giuridiche ancora aperte, con la Cina si arriva fino alla famosa Lettera, nel giugno del 2007, di papa Ratzinger ai cattolici cinesi.

Nel 2009 è in Venezuela come nunzio e lavora al riavvicinamento tra Vaticano e il governo di Chavez. In tutti questi anni di servizio alla Chiesa lo contraddistingue una leale e fattiva collaborazione con superiori di orientamento e sensibilità diverse: Casaroli, Silvestrini, Sodano, Tauran, Lajolo, Bertone e Mamberti. È un uomo e sacerdote che papa Bergoglio conosce bene, ha avuto modo di apprezzare personalmente da arcivescovo di Buenos Aires, non faceva parte del consiglio degli otto cardinali come spiegato dal papa stesso nel viaggio di ritorno da Rio, e «si può immaginare ‒ dice il vaticanista Gianni Valente ‒ che, anche per temperamento, proverà a valorizzare sensibilità ecclesiali diverse, nell’orizzonte aperto della Chiesa non auto-referenziale costantemente suggerito da papa Francesco. Per Parolin, il servizio reso alla Santa sede è sempre stato solo un modo di esercitare la propria spiritualità sacerdotale».

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