Da Picasso all’underground come battaglia sociale

Scomparso nel 1988 a soli 27 anni, è riuscito nell’arco di pochi anni a costruire una leggenda attorno alla sua figura e alla sua arte. Nato a Brooklyn, il padre era di Haiti e la madre di Puerto Rico, sono in esposizione al Mudec di Milano, sino al 26 febbraio 2017, oltre 100 opere del genio ribelle del Graffiti Art, Jean-Michel Basquiat

Basquiat, candore di un bambino, usa il linguaggio espressionista per ex- primere, gettare sui muri e, dal 1981 sulle tele, la violenza di una vita vissuta con i clochard nei sobborghi newyorkesi underground, insieme ai “ ragazzi di vita”, gli “ultimi” di Pier Paolo Pasolini e di David Maria Turoldo.     Basquiat, candore di un bambino, s’ incanta di fronte alle radici primigenie dell’Africa, che, per lui che è di origini haitiane da parte di padre, è la “sua” Africa. Il suo primitivismo, genuina forza espressiva di un irripetibile musica tribale, non è di tipo romantico. Utilizza il linguaggio antinaturalistico delle origini, le parole e i segni, “come fossero entrambi pennellate”. Nei disegni a sei mani con Andy Warhol e Francesco Clemente, richiesti da Bischofberger nel 1984, questo linguaggio si fa eclettico e richiama l’arte pop dei Cartoons, violento, scarno, semplice nella denuncia sociale dei soprusi contro minoranze etniche, emarginati, “ultimi”.

Basquiat, anima candida, dichiara di essere amico di quelli di cui nessuno è amico. Sensibile, non per cultura, formatasi nel corso delle molte visite nei musei di New York, accompagnato da sua madre, quanto piuttosto per scelte etiche radicali.                                                                                                                   Basquiat, candore primigenio, non vuole essere considerato un ”artista nero” ma semplicemente un artista. Combatte l’identificazione razziale che neghi l’appartenenza ad “altro”, indipendentemente dal colore della pelle e da valutazioni di tipo razziale. Questa è la battaglia di Basquiat, Warhol, Haring, fatta attraverso nuovi linguaggi segnici e nuovi simboli, quali i radiant boy, o la forbice che taglia la testa al serpente, metafora della battaglia tra bene e male, e anche attraverso scelte stilistiche di semplificazione dei tratti ed essenzialità della forma.

Basquiat non ama l’omologazione. Si firma come SAMO, con una corona, o con la sigla del copyright per indicare che la caratteristica di un’anima è la sua irripetibile unicità. Basquiat sente l’esigenza di allontanarsi da Warhol quando i critici lo interpretano come una sua marionetta senza autenticità né libertà creativa. La sua ispirazione di tipo concettuale rimanda al senso anteriore alla realizzazione stessa dell’opera, alla categoria dell’incompiutezza di Picasso come carattere della creatività. «Cancello le parole ‒ dichiara Basquiat ‒ in modo che si possano notare». Il fascino concettuale, antinaturalistico dell’arte africana è per Basquiat  idea mentale, piuttosto che visione delle cose. La poetica di Basquiat riprende quella di Picasso de Les Demoiselles d’ Avignon o di Guernica . «La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico», in linea con la rivoluzione estetica de La Critica del Giudizio di Kant del 1790.

Il 12 agosto 1988 viene ritrovato morto nel suo appartamento di New York a causa di un cocktail fatale di droghe. Al funerale, Fab 5 Freddy lo saluta con la poesia di Hughes:

«Questa canzone è per il genio bambino

cantala piano, perché è una canzone ribelle

cantala piano, più piano che puoi

che non ti scappi di mano

Nessuno ama un genio bambino.

Sapresti amare un’aquila,

docile o selvaggia?

Selvaggio o docile sapresti amare un mostro dal nome spaventoso?

Nessuno ama un genio bambino

Liberalo e lascia che la sua anima corra selvaggia».

 

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