Peter Gabriel il prezzo della perfezione

Lo abbiamo atteso ben dieci anni questo Up. Ma ne è valsa la pena. Perché l’album più rinviato nella storia del rock è di quelli che lasciano il segno. Del resto basta infilarlo nel lettore una sola volta per intuire che le canzoni che lo compongono sono frutto di concepimenti creativi e di metodologie di lavoro che poco hanno da spartire con le usanze frettolose e generalmente approssimative del music-business contemporaneo. Un lusso che in pochi oggi possono permettersi, ma che per artisti di questa levatura, diventa una necessità irrinunciabile. Up (Virgin Records) dichiara immediatamente la sua estraneità alle plastiche del pop: ogni sua porzione nasconde ceselli preziosi e architetture complesse, sviluppi quasi antitetici al semplicismo canzonettaro, parole che sfidano tematiche impegnative. Ma come in tutti i grandi creativi, Gabriel si è affidato a dinamiche squisitamente artigiane, ben sapendo che l’operazione decisiva per la genesi di un capolavoro è quasi sempre la sottrazione, il paziente scartare tutto ciò che rischia di zavorrare la perfezione, l’amputare orpelli e pur deliziosi ghirigori in nome di un essenzialità capace di parlare il linguaggio universale dell’arte. Queste dieci canzoni sono state scelte in un mazzo di centotrenta (!), e ciascuna di esse è un piccolo mondo da scoprire, nelle sue forme cangianti come nella profondità dei contenuti. Si apre con le ossessioni rumoriste e i chiaroscuri di Darkness dove si cantano le infinite angoscie di tutti noi, reduci di un 11 settembre non ancora metabolizzato; si passa alle speranze di Growing Up per poi laciarsi accarezzare dagli struggimenti di Sky Blue, impreziosita dai ricami di gente del calibro di Daniel Lanois, Peter Green e Manu Katche. No way out ha le radici antiche dell’albero Genesis, la successiva I grieve le dolcezze ombrose di una ballad malinconica; quindi è il turno del singolo-guida The Barry Williams Show, fulminante j’accuse contro le degenazioni sensazionaliste della cosiddetta “tv-verità”. Il brano successivo apre nuove inquietudini su minimalismi domestici, poi Gabriel vira verso il trascendente ipotetico raccontato da More than this: “…nulla sbiadisce rapidamente quanto il futuro/ e nulla ti si attacca addosso quanto il passato/ fin dove riusciamo a vedere/ Molto più di questo/ C’è qualcosa là fuori… Molto più di questo/ di gran lunga oltre ogni immaginazione/ Molto più di questo/ Oltre le stelle…”. In Signal to noise si contempla la difficoltà del comunicare e riaffiora la speranza: “…Quando tutte le cose belle e luminose sprofondano nella notte / eppure c’è ancora qualcosa nel mio cuore che può trovare una strada per un inizio… “. E si chiude con le eteree armonie di The drop, degno epilogo di un’opera che non fornisce risposte, ma che sa suscitare domande forse ancor più necessarie. Up è uno scrigno di tesori ed è logico perciò che necessiti di più tempo e applicazione per essere dischiuso, almeno rispetto a una lattina di cocacola. Da qui il rischio di vederlo catalogato come album “difficile” e perciò relegato nelle nicchie dei prodotti d’élite. Sarebbe un peccato perché la sopravvivenza della musica di massa ha paradossalmente più bisogno della severa essenzialità di una Sky Blue che di cento sculettanti Asereje. Agricantus e Nour-eddine Un grande evento musicale: Agricantus e Nour Eddine insieme per la presentazione di Sconfini, una collana di prodotti discografici che avrà cadenza mensile. ElleU Multimedia e Cni Compagnia Nuove Indie, promotori dell’iniziativa, vogliono così dare un impulso alla musica non omologata, multietnica. Gli Agricantus, che hanno conquistato una credibilità internazionale nell’ambito della World Music, presenteranno il nuovo disco Calura. Nour Eddine, cantante e coreografo dalle antiche origini berbere, voce straordinaria, sarà accompagnato da una band di giovani musicisti africani, e presenterà il suo nuovo lavoro Coexist. Roma, Teatro Tendastrisce, 25 ottobre, ore 21. Agricantus Gigi d’alessio uno come tè Bmg-Ricordi Un disco fatto su misura per fugare le ultime ombre e gli imbarazzi da neo-melodico, sia pure di gran lusso. Ma il timido Gigi continua a scimmiottare il primo Baglioni, passando, sulle scontatezze melodiche e le stucchevolezze dei testi, solo una bella mano di pop alla sanremese che non basta certo ad emanciparlo. Così, più che il Baglioni del nuovo millennio, sembra il Cutugno del vecchio. Poco male: si può campare anche così. Bames taylor October road Sony Music Dal vivo sa ancora commuovere, su disco invece fa un po’ più fatica. Intendiamoci, il padre di tutti gli intimisti è ancora un maestro difficilmente imitabile e le sue nuove canzoni hanno aroma, consistenza e classe sufficiente per consentirgli di levarsi di una buona spanna dalla media circostante. Noblesse oblige, ma credo che, almeno per questa volta, ci si possa accontentare di questa dozzina di delicati acquerelli d’autore. f.c.

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