I pescatori di Mazara: al via il processo in Libia

Si apre domani il processo ai 18 marinai di Mazara del Vallo sequestrati nel Golfo della Sirte dalla marineria del generale Haftar, autorità militare non riconosciuta che controlla una parte della Libia. L’appello di papa Francesco per la liberazione degli ostaggi e per la Libia. Sullo sfondo una città che si regge ancora sul comparto della pesca. Il sindaco Quinci: «Sosteniamo le famiglie dei pescatori che manifestano davanti a Montecitorio»
Peschereccio (Photo AP)

Il processo inizierà domani. I 18 pescatori sequestrati 50 giorni fa dalla marineria libica saranno processati per sconfinamento e pesca abusiva in acque libiche. «I pescatori italiani saranno sottoposti a un procedimento da parte della Procura generale competente e saranno giudicati secondo la legge libica» ha detto, in un’intervista a Quarta Repubblica, Khaled al-Mahjoub, portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar. Si tratta di un governo non riconosciuto dall’Italia e dall’Onu.

Le due imbarcazioni appartenenti alla marineria mazarese, Medinea e Antartide, si trovavano nelle acque internazionali ma, secondo le autorità libiche, avrebbero invece sconfinato in una zona che la Libia ritiene di sua esclusiva pertinenza. Dal 1973 la Libia ha dichiarato il Golfo della Sirte una baia storica di sua esclusiva pertinenza. Il Golfo della Sirte ha un’estensione di 300 miglia. Di fatto, alle 12 miglia dalla costa delle acque territoriali, se ne aggiungono altre 62, fino a comprendere buona parte del Mediterraneo. Nessuna legge internazionale riconosce questi diritti della Libia, ma lo stato sub-sahariano utilizza questo riconoscimento unilaterale come strumento di pressione e di minaccia nei confronti degli altri paesi del Mediterraneo. Ma è l’Italia, con le marinerie di Mazara del Vallo e, in parte, di Licata a subire il peso maggiore.

Il Golfo della Sirte è anche la zona più pescosa e il progressivo spopolamento dei mari costringe i pescatori a spingersi più al largo e a rischiare di più, pur rimanendo nei confini della legalità.
Ieri, nell’Angelus dominicale, papa Francesco ha fatto sentire la sua voce. «Desidero rivolgere una parola di incoraggiamento e sostegno ai pescatori fermati da più di un mese in Libia e ai loro familiari. Affidandosi a Maria, Stella del mare mantengano viva la speranza di poter riabbracciare presto i loro cari. Prego anche per i diversi colloqui in corso a livello internazionale, affinché siano rilevanti per il futuro della Libia. È giunta l’ora di fermare ogni forma di ostilità favorendo il dialogo che porti alla pace, alla stabilità ed all’unità del paese. Preghiamo per i pescatori e per la Libia, in silenzio».

Le parole del Pontefice sono giunte come un viatico in una cittadina martoriata e preoccupata. I 18 marinai (otto italiani, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani) vivono tutti a Mazara, con le famiglie. Alcuni familiari hanno manifestato a lungo a Roma davanti a Montecitorio per chiedere con forza alle istituzioni di riportare a casa i loro parenti. Da 35 giorni, non giunge più nessuna notizia, non una telefonata, un video o una foto che rassicuri sulle loro condizioni di salute.

La vicenda è stata al centro del question time di giovedì scorso alla Camera. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha risposto alle domande dei parlamentari, alcune fortemente polemiche. Qualcuno ha ricordato i rapporti costruiti da Berlusconi con Gheddafi che aveva dato maggiore stabilità al Mediterraneo. Di Maio, piccato, ha replicato: «Se sono l’ennesimo ministro degli Esteri che si sta occupando della Libia è perché qualche governo l’ha bombardata, e non è questo governo. Credo che la destabilizzazione della Libia sia stata uno dei più grandi errori che questo Paese abbia mai fatto, soprattutto perché il giorno prima chiamava Gheddafi e il giorno dopo permetteva il bombardamento di Gheddafi». Il rappresentante della Farnesina ha anche rassicurato sul fatto che la diplomazia sta lavorando sia nei rapporti diretti con la Libia, sia attraverso le interlocuzioni con altri paesi, ma ha mantenuto una ovvia riservatezza sullo stato delle eventuali trattative. Nei primi giorni del sequestro dalla Libia avevano fatto sapere che il governo di Haftar chiedeva uno scambio di prigionieri, chiedendo il rientro a Tripoli di alcuni scafisti condannati negli anni scorsi e che stanno scontando le loro condanne nelle carceri italiane.

Intanto, a Mazara, la situazione resta tesa. «Seguiamo costantemente la vicenda e chiediamo il massimo impegno delle istituzioni – spiega il presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu, Nino Carlino – La Libia ha creato una Zona Economica Esclusiva non riconosciuta: un problema finora mai risolto». Carlino ha preso il posto di Giovanni Tumbiolo, storico presidente morto nel giugno dello scorso anno e che a lungo aveva guidato il Distretto.

«Noi siamo in contatto costante con l’Ambasciata, sappiamo che c’è un’attività diplomatica in corso – spiega il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci – nella città c’è un clima di sconforto, di preoccupazione, che rendono questi giorni di attesa insopportabili. Alcuni familiari stanno manifestando a Roma, nella delegazione ci sono anche due ragazze tunisine. Io mi sono recato a Roma per incontrarli, una tv locale ha organizzato un collegamento con loro. Non li lasciamo soli. Cerchiamo di essere da supporto alle famiglie, insieme alla regione abbiamo deciso di stanziare un contributo economico per le famiglie, anche con il sostegno dei sindacati».

Sullo sfondo, la città di Mazara del Vallo, situata alla foce del fiume Mazaro. Una città di 52.000 abitanti che conserva ancora l’antico impianto della kasbah araba, con le sue strette stradine, che vede la sua cattedrale costruita su una moschea araba; Mazara che fu città fenica, dominata poi dai cartaginesi, dai romani, dagli arabi, dai Normanni, dagli Svevi, dagli Angioini, dagli Aragonesi, fino ai nostri giorni. Una città che ha sempre sviluppato la sua vocazione marinara. Fino a trent’anni fa, la marineria contava più di 600 imbarcazioni, erano 200 dieci anni fa, oggi sono solo 90. Lo spopolamento dei mari e la necessità di spingersi fino al Golfo della Sirte, ma anche la crisi del comparto ittico, hanno via via decimato il settore. «La crisi ha varie cause – continua Quinci – di certo, l’incertezza politica ed i rischi legati alla pesca giocano un ruolo importante. C’è stata, in questi anni, poca lungimiranza degli imprenditori del settore ittico, poca lungimiranza dei politici. Lo spopolamento dei mari è un trend crescente e non si può non tenerne conto. Nonostante le difficoltà, però, il comparto ittico è ancora il settore trainante a Mazara. Regge, invece, il settore della trasformazione che si approvvigiona anche presso altre marinerie, anche di altri Stati. Nel frattempo, Tunisia e Libia stanno rafforzando le loro marinerie. Oggi il comparto della pesca cresce in quei paesi che si apprestano a diventare nostri competitor nel settore».

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