Pesach, la Pasqua ebraica

Il mondo ebraico e le sue festività, raccontate tramite l’esperienza diretta di un ebreo praticante e attraverso le tradizioni musicali, artistiche, spirituali e perfino culinarie più caratterizzanti. La prima festa che incontriamo è Pesach, la Pasqua ebraica.

Con il Progetto DAVKA, il mio gruppo di musica ebraica, abbiamo registrato un paio di brani tipici. La Pesach è chiamata anche Festa della Libertà, zman cherutenu, perché rievoca il tempo della nostra liberazione da un oppressore malvagio che avrebbe voluto annientare il nostro popolo: il faraone. Come celebriamo la ritrovata libertà? Con dei canti meravigliosi e coinvolgenti in cui le famiglie, dai nonni ai nipotini, si ritrovano secondo la propria tradizione familiare. Uno di questi canti, intitolato Betzet Israel (All’uscita di Israele dall’Egitto), ha come testo il Salmo 114 in cui re David ricorda come mari, fiumi e montagne iniziarono a tremare nel riconoscere i miracoli operati dal Signore per liberare il popolo ebraico dall’Egitto.

In questa festa un ruolo da protagonista lo svolgono i bambini. Sono loro che iniziano il seder, la cena pasquale, interrogando gli adulti sul senso della festa ed è innanzitutto a loro che è destinato il racconto e il ricordo. Così, per renderli partecipi fino alla fine della cena, vengono utilizzate alcune divertenti filastrocche dalla struttura ripetitiva che ben si prestano ad essere cantate anche da chi le sente per la prima volta. In una di queste, ad esempio, il titolo ricorda l’animale usato per il sacrificio pasquale, il capretto. Questo viene generalmente scannato da altri animali che, a loro volta, sono poi uccisi da vari elementi della natura. L’allusione evidente è ai popoli della terra che perseguitano il popolo ebraico e che vengono poi “divorati”, a loro volta, da qualcun altro fino all’arrivo del Salvatore che concederà la redenzione al popolo ebraico. Nella nostra versione in giudaico piemontese però, la crava (capra) non viene uccisa, ma combina un sacco di danni che si concludono con la rottura di un fiasco di vino.

È noto come la Pasqua cristiana derivi direttamente dalla Pesach, sia per quanto riguarda il nome, sia perché, come raccontano i Vangeli, ha uno stretto legame temporale con la festa ebraica, sia per il modo in cui ancora oggi ne viene fissata la data.

Il calendario ebraico è basato sulle fasi lunari. Tuttavia, la Torah prescrive che la festa di Pesach debba cadere in primavera (determinata dalle fasi solari). Pertanto, per adeguarsi a questo precetto, è necessario compensare lo sfasamento fra le due fasi. Così periodicamente viene aggiunto un mese al calendario ebraico, in modo da far coincidere la festa di Pesach con la primavera. Questo spiega come la data rispetto al calendario solare non sia fissa. Quest’anno ha inizio sabato 27 marzo.

Ma cos’è questa festa? Qual è il significato? Cosa ricorda?

La festa cade la sera del 14 del mese di Nissan, dura 7 giorni in terra di Israele e 8 in diaspora e ricorda l’uscita del popolo ebraico dalla terra d’Egitto e la fine della schiavitù. Il nome Pesach vuol dire salto perché secondo il testo biblico l’Angelo della Morte, durante la piaga della morte dei primogeniti, “saltò” le case del popolo ebraico che avevano gli stipiti e gli architravi delle porte colorati col sangue del capretto e colpì solo quelle degli egiziani, che rifiutavano di lasciare liberi gli ebrei, come espressamente comandato dal Signore.

 

In ricordo di questi eventi, ancora oggi gli ebrei si riuniscono in una cena pasquale chiamata seder (ordine) durante la quale viene letta l’Haggadah, ossia il racconto dell’esodo accompagnato dalla spiegazione rabbinica del senso profondo di questo precetto. La cena festiva è quindi preceduta da un ordine ben preciso di testi letti e di alimenti tipici che ricordano gli eventi narrati. Quello più famoso è la matzah (plur. matzot), il pane azzimo o non lievitato, che mangiamo in ricordo della fuga nel momento della liberazione e come memoria del sacrificio pasquale che veniva consumato con azzime ed erbe amare. Queste ultime ricordano l’amarezza della schiavitù, e vengono servite insieme ed in contrasto al charoset, una marmellata dolce del colore della malta con cui gli ebrei producevano mattoni in Egitto. Tutto ciò ci ricorda come nella schiavitù, paradossalmente, ci sia anche un elemento di dolcezza che ci attira. Altro piatto tipico è la zampetta di agnello in ricordo del sacrificio pasquale e il Karpas (generalmente sedano) che nella parola ebraica ha le stesse lettere della parola “inutile” (farech), come il lavoro con cui gli egiziani opprimevano gli ebrei. A corredo del tutto si bevono 4 bicchieri di vino in ricordo delle 4 espressioni con cui il Signore promise a Moshé, all’inizio del libro dell’Esodo, di liberare il popolo d’Israele.

Ma la cosa più divertente è vedere le case ebraiche nelle settimane che precedono la festa! Non solo perché è proibito mangiare cibi lievitati (chametz) ma addirittura possederne anche in piccolissime quantità. Iniziano così delle vere e proprie “cacce al tesoro” alla ricerca delle minime tracce di chametz sparse ai quattro angoli di casa. Genitori e figli si riuniscono e collaborano per render gli ambienti kasher le Pesach (adatti a Pesach), pulendoli attraverso una sorta di gioco per trovare il chametz nascosto, che si conclude con la bruciatura di questo. Certo, per i genitori non è sempre facile riuscire a contenere l’euforia dei bimbi e insieme a pulire efficacemente. Serve tanta fantasia e la pazienza di prepararli, raccontando le vicende bibliche associandole a dei giochi che consentano di proiettare i bimbi nell’atmosfera festosa. Non a caso Pe-sach in ebraico vuol proprio dire “bocca che racconta”, perché la narrazione alle nuove generazioni è il fulcro della trasmissione delle tradizioni. E allora possiamo finalmente augurare: Pesach Kasher ve Sameach!!!

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