Perù: un presidente molto scomodo

Il presidente Vizcarra è diventato un personaggio inopportuno per tutti i politici corrotti che occupano le istituzioni per un ritorno personale  
Martìn Vizcarra, presidente del Perù (foto Ap).

 

Da quando ha assunto la presidenza del Perú (marzo 2018), Martín Vizcarra ha condotto una lotta frontale contro la corruzione che pervade le istituzioni. Anche per questo rischia di essere destituito, se le forze veramente democratiche non reagiranno.

Non conosce pace la democrazia peruviana, nemmeno durante la pandemia abbattutasi impietosamente sui 32 milioni di abitanti. Il Paese, al 10 settembre, è il quinto al mondo per numero di contagiati da Covid-19, con oltre 730.000 positivi, a un ritmo di 6-7 mila nuovi casi al giorno, mentre i decessi hanno superato i 30 mila.

Nel mezzo di questa emergenza sanitaria ed economica, il sistema politico ha avuto l’ardire di produrre una nuova crisi mettendo sotto accusa il presidente Martín Vizcarra, che venerdì 18 settembre potrebbe essere destituito dal Parlamento.

I motivi apparenti di questa accusa si fondano sul ruolo diretto che Vizcarra avrebbe avuto in un contratto da 45 mila euro siglato tra il Ministero della Cultura e un cantante suo amico.

Di questa accusa destano stupore vari aspetti, oltre alla scarsa rilevanza del tema in sé. Prima di tutto, la poca consistenza dei fatti che prendono spunto da tre registrazioni segrete nelle quali il presidente prende accordi con alcuni collaboratori in merito a come gestire lo scandalo. Chiunque lo farebbe, cercando di definire il modo migliore di rivolgersi all’opinione pubblica. Si sorvola, però, su un dettaglio chiave: in una delle conversazioni il presidente afferma chiaramente che va detta la verità. In secondo luogo, il fatto che le norme costituzionali in questo tipo di accusa (permanente incapacità morale) non contemplino la destituzione.

Polizia a cavallo durante il voto di impeachment (Rodrigo Abd/AP)
Polizia a cavallo durante il voto di impeachment (Rodrigo Abd/AP)

Lo stupore si accentua quando si considera che le registrazioni sono state presentate da Edgar Alarcón, un deputato e pubblico amministratore accusato di peculato doloso e arricchimento illecito mentre svolgeva una funzione pubblica. E la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti è ancora in mano alla procura. Alarcón è inoltre deputato di Unión por el Perú, un partito il cui leader, Antauro Humala, sconta una pena di 19 anni per una rivolta nella quale morirono quattro poliziotti. Suo fratello, Ollanta Humala, ex presidente della Repubblica, è in libertà condizionata, accusato di corruzione durante il suo mandato.

Ma Alarcón, per la richiesta di impeachment, ha avuto bisogno anche dei voti di Acción Popular, il partito del presidente del Parlamento, Manuel Merino, che sarebbe il successore del presidente in caso di destituzione. In una telefonata, Merino avrebbe inoltre chiesto l’appoggio – negato – delle Forze Armate, chiarendo ancor meglio all’opinione pubblica dove e come si schierino gli oppositori del presidente Vizcarra.

La principale debolezza di Vizcarra è quella di non disporre in parlamento di un gruppo proprio, essendo arrivato alla presidenza dopo la rinuncia del suo predecessore, Pedro Pablo Kuczynski, anche lui in odore di corruzione, come tutti i presidenti del Perù degli ultimi 30 anni. Fin da quanto ha assunto la massima carica dello stato, Vizcarra si è trasformato in un sasso nella scarpa di tutti i faccendieri politici che occupano le istituzioni a loro uso e consumo. Oltre ad aver decapitato la cupola del potere giudiziario invischiato in una trama di corruzione, ed aver neutralizzato Forza Popular, il partito del clan Fujimori che frenava ogni tentativo di riforma anticorruzione, il presidente stava promuovendo un progetto di legge per impedire che i seggi parlamentari vengano usati per ottenere l’immunità, e per stabilire un limite al numero di mandati parlamentari.

Per la messa in stato d’accusa occorrevano 52 voti sul totale di 130 deputati (il parlamento è unicamerale): la richiesta ne ha ottenuti 65 a favore. Non sembra facile, però, che venerdì 18 settembre si possano raccogliere gli 87 consensi previsti dalla legge per destituire il Capo dello Stato. Ma niente è sicuro in un Parlamento frammentato nel quale troppo spesso gli interessi particolari hanno la meglio sul bene comune. Ne è una riprova il giudizio politico attuato con la richiesta di impeachment.

Nei giorni scorsi, in alcuni quartieri di Lima sono ricomparse le pentole, percosse in segno di protesta per questa crisi che di democratico pare avere ben poco. Le reti sociali hanno convocato migliaia di persone che da balconi e finestre, rispettando il distanziamento sociale, hanno manifestato in questo modo il loro no a questo gioco pericoloso, e il loro sostegno a un presidente molto scomodo per un sistema corrotto.

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