Perseguire la pace oltre l’assurdo

Quel volto di adolescente triste, comparso sui giornali, del giovane palestinese che si è fatto esplodere a Gerusalemme, seminando la morte, sembra adombrare quanto di più innocuo, dolce, indifeso, si possa immaginare. Fra l’appellativo di terrorista, che gli deriva dalla strage compiuta, e quello di martire, che in gran parte i suoi compatrioti gli attribuiscono, verrebbe paradossalmente spontaneo propendere per il secondo. Ma neppure lasciano indifferenti i volti e le storie delle vittime. Nei reportages da Riad si affaccia il sorriso di due bellissimi bambini dagli occhi immensi, spalancati sulla vita che è stata loro tolta.Accomuna queste immagini il senso dell’assurdo. Non si può non restarne turbati e non riflettere su quel disegno di odio, di male con la M maiuscola, come è stato definito, che traligna. Eppure, la recrudescenza degli atti terroristici esplosa in questi giorni non ha stupito. Tutti se l’aspettavano. A parte ovviamente conoscere il dove e il quando, visto che nessuno ha pensato di fare evacuare gli edifici di Riad, o di Casablanca o degli altri centri colpiti da questa nuova Jihad globale. Per ognuno dei bersagli messi a segno, altri cento si trovano minacciati. In tal modo si è costretti, come sta avvenendo in Arabia Saudita e in Africa orientale, ad evacuare da intere città migliaia di possibili bersagli. Anche in Italia si vive in stato di allerta. Si assiste così al trasferimento delle basi americane dell’Arabia Saudita. L’alleato più importante è diventato il meno sicuro. C’è chi parla da tempo del doppio gioco di questo paese, e ciò può sembrare vero, se si vuole definire in questo modo la politica ondivaga di una monarchia intrinsecamente debole, insidiata da sempre da congiure di palazzo. Non per niente dallo stuolo dei grandi clienti che questo moderno feudalesimo alimenta, proviene lo stesso Osama Bin Laden. Non per niente un rapporto commissionato dallo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite valuta in 500 milioni di dollari i finanziamenti arrivati nelle casse di Al Qaeda dall’Arabia Saudita, nel decennio intercorso fra le due guerre del Golfo. E proprio in questo immenso paese i fondamentalisti nasconderebbero gran parte dei loro arsenali, perché è da qui che il loro credo intransigente ha preso le mosse e qui esso viene tuttora coltivato. D’altra parte gli eccidi di Riad, come quelli di Casablanca o di Gerusalemme, non sono che anelli di quella lunga catena di attentati che da anni punteggiano l’universo islamico colpendo di preferenza gli interessi e i cittadini degli Stati Uniti o di Israele. Altrove, invece, come nel Kosovo, in Bosnia, in Cecenia e forse nelle stesse Filippine, la reazione islamica ha assunto piuttosto il volto dell’irredentismo, perché si tratta di minoranze represse. Ma i metodi di lotta non differiscono molto. Dunque, non c’è del nuovo se, dopo le guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq, tutto pare rimasto come prima. La stessa contrapposizione frontale, le stesse reazioni di forza, la stessa incomprensione reciproca. Basta che si riapra uno spiraglio di pacificazione, come recentemente quello pur timido fra israeliani e palestinesi dopo l’elezione di Abu Mazel, che subito un ragazzo dal volto d’angelo immola sé stesso, decine di innocui passeggeri di un autobus e vanifica mesi di trattative. Puntuale scatta la ritorsione. Occhio per occhio è ancora la regola sovrana. È assurdo, ma è vero. Ci sono però anche altri, giovani e meno giovani, coinvolti in questi avvenimenti, che non praticano questa regola crudele. Persone che, pur avendo gli occhi per vedere tanta insensatezza e un cuore per soffrirne, si sforzano di costruire rapporti di dialogo, preludi di pacificazione, oltre l’assurdo.Di qua e di là dalle trincee e dalle barricate. Ne parliamo spesso. Anche nello speciale di questo numero. Con la stessa forza con cui si è chiesta la pace per l’Iraq, rivelando per lo meno quanta parte dell’opinione pubblica la invochi, si dovrebbe continuare a richiedere senza sosta questo impegno costruttivo. Si sa che in tale direzione lavorano in molti paesi anche uomini di governo. Diciamo loro che queste istanze sono davvero prioritarie. E forse un’altra considerazione converrà tenere presente: che non è la legge del profitto quella che potrà portare a soluzioni definitive sulla via della pace. Se mai il suo esatto contrario. Lo testimonia, anche se in modo distorto, ma paradossalmente efficace, il giovane palestinese che si fa saltare. Converrà che se ne convincano quanti reggono i fili di questo grande gioco che ci coinvolge tutti.

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