Peres e la terra promessa

Come Mosè, anche lui vedrà la pace da lontano. Il racconto di un’amicizia di lungo corso coltivata da lettere e incontri delinea la personalità di un uomo che ha amato il suo popolo e ha lavorato istituendo una fondazione per l’aiuto e il dialogo coi palestinesi
Simon Peres

Ho incontrato Simon Peres nel settembre del 2003, in occasione della festa del suo ottantesimo compleanno. Io ero stato invitato perché avevamo, come Regione Toscana, firmato l’accordo con i medici palestinesi e con il centro Peres, la fondazione da lui ispirata, per il progetto Saving Children per la cura dei bambini palestinesi incurabili in Palestina.

 

È iniziata un’amicizia, fatta di stima, di rispetto e di azione concreta. Alla festa erano presenti i grandi della terra: Gorbaciov, Bill Clinton, Joseph De Klerk, Desmond Tutu, grandi sostenitori della sua fondazione.

 

Ma i leader politici non erano il suo unico riferimento. Egli credeva che si dovesse cambiare la società, quella israeliana e quella palestinese. E il punto di partenza non poteva non essere che il dolore dei bambini, la loro sofferenza, la mancanza di cura. L’ho sentito dire più volte che il progetto Saving Children era il progetto più importante della sua fondazione.

 

È stato grande amico di Abu Mazen. Si è posto come grande leader politico, capace di dialogare con tutti, in primo luogo i palestinesi. Si è guadagnato la stima dei palestinesi, perché conosceva il loro dolore profondo.

 

Aveva un grande senso dello Stato e della patria, per cui lavorava all’unità del suo popolo e questo è stato evidente anche nella prima guerra di Gaza. Le mie contestazioni sulla inutilità e stoltezza della guerra, che io espressi a lui per lettera, furono riassunte in una sua risposta, che voleva narrare e giustificare il perché della guerra e la necessità di mantenere unito il suo popolo.

 

Io gli confermai la mia condanna e la follia di quel disegno politico e allora lui mi chiese: che cosa posso fare in concreto? Ed io risposi: far arrivare uno strumento di radioterapia, che era fermo da mesi al valico di Heretz, in modo da curare i bambini, che altrimenti rimanevano senza cure. Dopo due mesi lo strumento passò al valico di Heretz e arrivò allo Scifa Hospital di Gaza. Questo era Simon Peres. Questa era la sua politica: l’unità della nazione e il dialogo con i palestinesi.

 

Nel suo settennato di presidenza della repubblica (dal 2007 al 2014) ha dovuto coabitare con un primo ministro con una cecità politica e al tempo stesso con una politica aggressiva nei confronti dei palestinesi. Ricordo di essere andato da lui nel 2011 e di avergli detto di fare come il presidente Napolitano, anche lui alle prese con un caso analogo. Ma riuscì comunque a tenere unito il Paese con gesti e parole di pace.

 

Egli è riuscito a parlare al Paese con questa parola, facendo del Centro Peres un luogo di costruzione di una politica e una cultura di pace. I progetti di sviluppo economico, di turismo, di scuola, di salute sostenevano questo dialogo di riconciliazione e di pace con i palestinesi. Non si è mai stancato di dialogare. La sua porta era sempre aperta, perché nel dialogo i nemici possono diventare amici.

 

Nel 2013 ho partecipato alla sua festa per il novantesimo compleanno. Gli portarono Yussuph, il primo bambino ormai undicenne curato nel progetto (in 13 anni oltre 11000). Un incontro tenerissimo: il ragazzo pieno di energia che cresce e il vecchio che va verso il suo compimento. Una carezza, un bacio, come un grande nonno con il suo nipotino.

 

Il miracolo di una politica e di una cultura di pace. Ho conosciuto i genitori di Yussuph davanti a Simon Peres. In mezzo il segno di un bambino riconsegnato alla vita e partorito al futuro, pieno di forza grazie agli artigiani della pace.

 

Infine la preghiera della pace a Santa Marta con Abu Mazen con papa Francesco e con il patriarca Bartolomeo. Un gesto singolare, leader politici, figure religiose, il dialogo dei cuori e delle culture. La porta della preghiera, che apre alla pace e spinge alla pace.

 

Ecco l’eredità di una grande vita e di una grande storia. Al centro la politica con le sue durezze e le sue scelte, ma a fondamento il magistero dei bambini. Per questo Simon Peres è stato un uomo di grande speranza anche nel tempo della tragedia.

 

Il tempo davvero si è fatto breve per risolvere la questione israelo-palestinese. Come Mosè, anche Simon Peres vedrà solo da lontano la terra promessa della pace.

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