Al centro del dibattito promosso nella giornata di Città Nuova del 5 ottobre 2025 dedicata alla pace possibile in un mondo in guerra, con particolare riferimento all’Europa e al Mediterraneo, è intervenuta, tra gli altri, Pasqualina Napoletano, più volte parlamentare europea e attualmente componente del consiglio scientifico del Centro Riforma dello Stato.
Lo storico e autorevole pensatoio della sinistra italiana che, assieme alla Fondazione Basso e al comitato Salviamo la Costituzione, ha lanciato la proposta di promuovere una Helsinki 2, cioè una nuova conferenza sulla sicurezza comune tra i Paesi europei come quella che si svolse nella capitale finlandese nell’agosto del 1975 in piena Guerra Fredda tra Paesi divisi ancora dal Muro di Berlino. Un fatto epocale che dimostrò la possibilità del dialogo tra mondi diversi nella comune tensione di impedire l’involuzione verso una guerra senza ritorno nell’era atomica, ma che oggi sembra sempre più alle porte nonostante le comprensibili rimozioni e la paura dell’ignoto.
La proposta della nuova Helsinki incontra accoglienza in diversi ambiti, come testimonia la sessione di lavoro che si è svolta nell’intera giornata del 30 settembre presso l’Istituto Luigi Sturzo, fondatore nel primo dopoguerra del Partito popolare italiano, a testimoniare la comune attenzione tra posizioni e tragitti culturali differenti tra loro davanti alla necessità di scongiurare la guerra sempre più propagandata come inevitabile.
Abbiamo perciò rivolto alcune domande a Pasqualina Napoletano a partite dal contributo offerto al dibattito del CN Day.
Da cosa nasce la proposta di una nuova Helsinki nel pieno di un’Europa impegnata in un gigantesco piano di riarmo?
Credo che la posizione contro la guerra e per la costruzione della pace sia un patrimonio che fa riferimento a diverse culture. Ci sono momenti in cui queste culture devono unirsi, anche per influenzare le istituzioni.
Oggi siamo in una situazione politica perfettamente rovesciata. Se nel 1975 i governanti (come Willy Brandt o Aldo Moro, all’epoca ministro degli Esteri in Italia) misero in moto il processo di Helsinki insieme alla diplomazia — un processo che richiese più di 400 incontri in due anni — oggi la situazione è molto preoccupante e la spinta deve venire dal basso.
Trovo scandaloso il fatto che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, apra il suo discorso sullo stato dell’Unione dicendo che “L’Europa è in guerra”. Altri governanti europei, come il ministro tedesco della Difesa tedesco Pistorius, parlano della guerra con la Russia come una possibilità nel 2029 (poi corretta al 2028 dal segretario generale della Nato Mark Rutte). Questo terrorizza le opinioni pubbliche.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbiamo imparato che l’arsenale nucleare e i mezzi aerei attuali (come i droni) potrebbero portare a una condizione in cui potrebbe non esserci un “dopo”. Abbiamo una responsabilità verso le generazioni future. Invece, abbiamo governanti “inetti” che fanno propaganda e costruiscono un progetto di riarmo “fantasmagorico” attraverso procedure discutibili e “furbesche”. Trovo tutto questo scandaloso.
Quale può essere il ruolo della società civile per non cedere a quella globalizzazione dell’impotenza da cui ci ha messo in guardia recentemente papa Leone?
La guerra interroga la responsabilità di ciascuno ancora di più, senza deleghe possibili, né agli eserciti, né ai governanti, perché nelle ultime guerre i civili muoiono molto di più (o almeno tanto quanto) degli stessi eserciti.
Per questo, oltre all’iniziativa dei valenti e autorevoli diplomatici fuori ruolo, anche noi, come ex parlamentari europei (circa 120 di molti Paesi), abbiamo scritto una lettera a Von der Leyen per chiedere di essere ascoltati. Non abbiamo ricevuto risposta. Stiamo insistendo.
Una delle richieste, nella stessa direzione dell’appello degli ex ambasciatori, è di mettere in atto l’Articolo 2 dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e Israele. Questo accordo impegna entrambe le parti a non violare i diritti umani. La prossima mossa che proporrò ai miei colleghi è di denunciare la Commissione alla Corte di Giustizia, perché in atto c’è “un genocidio”.
Dobbiamo assumerci questa responsabilità e crediamo che sia importante allargare questa collaborazione a una dimensione europea, costruendo un movimento europeo all’altezza di quello formatosi in reazione alla Guerra del Golfo nel 2003.
Davanti al tradimento della diplomazia, come denuncia l’ambasciatore Pasquale Ferrara, e la situazione persistente di guerra in Ucraina, riproporre Helsinki 2 non è forse un’ingenuità, o una sorta di riedizione del motto “meglio rossi che morti”, cioè un cedimento di fronte a una violenza inaccettabile, come quella del regime di Putin?
Con molto realismo penso che sia nell’interesse sia russo che americano indebolire l’Europa, e ci stanno riuscendo perfettamente. Se poi si chiude la tenaglia tra est e sud, siamo veramente alla catastrofe, e noi siamo in mezzo.
È stata una follia lasciare agli Stati Uniti il compito di parlare con la Russia. È vero che la Russia ha infranto un principio, ma andava riaperto un discorso reciproco sulla sicurezza, in quanto la Nato, portando i propri confini, minacciava la loro sicurezza.
Soprattutto, noi dobbiamo riflettere sul fatto che si ragiona spesso sugli stati e sui territori e non sulle persone. L’Ucraina ha una conformazione politica e linguistica molto diversa per via della sua storia. L’Europa ha fallito su moltissimi piani, ma soprattutto non si è occupata di vedere come venivano affrontate le questioni delle minoranze linguistiche e delle comunità in questi Paesi che entravano nell’Unione.
Dove, a suo parere, ha sbagliato finora l’Unione europea?
L’Europa ha affrontato la situazione in modo burocratico ed economicistico, con i dossier del mercato interno. Questa mancanza di attenzione ha spostato completamente l’asse politico e la sensibilità nelle relazioni con la Russia. È per questo che dobbiamo riflettere seriamente sul futuro dell’Europa, perché in questa vicenda il progetto europeo rischia di saltare completamente per aria. Per questo motivo promuovere oggi una nuova Conferenza di Helsinki vuol dire riscoprire la vocazione autentica dell’Europa per dare spazio insieme alla speranza e non cedere all’idea dell’inevitabilità della guerra che viene.