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Italia > Scenari

Raccontare la Sardegna, guardare il mondo

di Costantino Cossu

- Fonte: Città Nuova

Il ricatto occupazionale nasce da mancate scelte di politica industriale. È stato un modello europeo e mondiale quello in cui si è inserita la privatizzazione dell’industria del Sulcis Iglesiente e quindi l’insediamento e l’espansione dell’industria bellica a Domusnovas. Pubblichiamo uno dei contributi offerti nella due giorni di approfondimento promossi ad Iglesias sul tema: Segnali da un futuro possibile: liberare il territorio dalla cultura ed economia di guerra

Caschi per operai foto unsplash.com

Se si punta ad una conoscenza reale dei fenomeni, non basta la dimensione locale. Tanto più oggi, quando il pianeta è ormai interamente globalizzato. Infatti, così com’è difficile dire di un individuo senza considerare il contesto di relazioni interpersonali in cui la sua esperienza di vita si inserisce, altrettanto difficile è parlare di una realtà sociale senza far riferimento ai rapporti che essa intrattiene con l’orizzonte di interconnessioni entro il quale essa si inscrive.

La Sardegna sta dentro un ordine globale, del quale va recuperata anche la profondità storica.  Per limitarci all’età contemporanea, non si può capire niente della storia della Sardegna se non la si inserisce nel vasto, grandioso processo di ridefinizione dei processi produttivi, dei rapporti sociali e insieme dei codici di valore che ha segnato il passaggio alla modernità; che ha segnato, cioè, in Europa e nel mondo, il passaggio dal modo di produzione feudale al modo di produzione capitalistico.

Una rivoluzione, come sappiamo. Una rivoluzione che ha avuto i suoi aspetti progressivi (la distruzione dell’Antico regime e l’affermazione nominale di valori di libertà, di uguaglianza e di solidarietà) e i suoi aspetti regressivi. Tra questi ultimi il principale è la riduzione del lavoro a variabile dipendente del processo di valorizzazione del capitale, con tutti gli effetti di oppressione e di alienazione che questo ha comportato e ancora comporta.

Ma non è soltanto il lavoro, non sono soltanto gli operai nelle fabbriche ad aver subito gli aspetti regressivi dell’affermazione planetaria dell’economia di mercato non regolata. Variabili dipendenti della valorizzazione del capitale sono diventati, da subito, anche il lavoro femminile non pagato inscritto in una dimensione, quella privatistica della famiglia, in cui al genere femminile è stata imposta una posizione di netta subalternità, e la natura nel suo complesso, ridotta a deposito, percepito erroneamente come illimitato, di materie prime e di fonti di energia.

Ma di più: al servizio della valorizzazione del capitale sono state piegate, quasi sempre con la violenza degli eserciti, tutte le realtà marginali rispetto al baricentro nord-atlantico, in un lungo e ancora non concluso processo di colonizzazione; processo nel quale vanno ricercate – dalla violenza contro i nativi americani sino all’apartheid e al genocidio in Palestina – le radici del razzismo contemporaneo.

Anche la Sardegna è entrata in questi grandi processi storici. Ci è entrata in posizione subalterna. Rimanendo alle stagioni più recenti, modernità per la Sardegna ha significato industria petrolchimica, ovvero, al netto dei salari, un enorme drenaggio di ricchezza verso l’esterno dell’isola.

C’erano alternative a quel modello, basate su risorse economiche e su saperi locali, ma sono state accantonate. Modernità per la Sardegna ha significato turismo di rapina fondato sulla speculazione edilizia e sulla devastazione delle coste, con l’esito estremo di un iper-turismo che oggi, dietro il cosiddetto approccio esperienziale o le cosiddette pratiche sostenibili, ha ridotto le particolarità storiche e culturali dell’isola a forme di folklore deteriori e avvilenti. Modernità ha significato per la Sardegna una presenza militare massiccia, con il sessanta per cento dell’intero carico nazionale di servitù che gravano sul nostro territorio.

Iglesias scogliera sopra pan di zucchero Foto WF

Apparato industriale allo sfascio, tentativi continui di riprendere l’assalto alle coste frenato nel 2006 dal Piano paesaggistico regionale, militarizzazione del territorio al servizio di logiche di guerra, bombe e droni che dalla Sardegna partono per i più vari teatri di guerra aperti nel mondo. Sono questi, prevalentemente, i temi che a me capita di trattare. Basta, di fronte a tutto questo, fermarsi alla cronaca? Basta mettere insieme i fatti? Evidentemente no. Se dalla Sardegna non si guarda al mondo e non si ricercano le cause dei movimenti profondi che attraversano la contemporaneità e che hanno attraversato la storia della contemporaneità, nessuna questione è comprensibile e nessun problema è risolvibile.

Prodotti Rheinmetall AG inEPA/HANNIBAL HANSCHKE

Nel Sulcis Iglesiente la crisi del polo dell’alluminio e del piombo, a Portovesme si accompagna alla presenza di una fabbrica, la Rwm Italia, controllata da uno dei colossi mondiali dell’industria bellica, la Rheinmetal.  La totale assenza di una politica industriale e la mano libera concessa all’imprenditoria privata e alle logiche di mercato che per trent’anni hanno caratterizzato l’atteggiamento dei poteri pubblici nei confronti dell’ex distretto minerario del Sulcis si accompagna oggi ad un insediamento, quello della Rwm, che colloca a pieno titolo la Sardegna dentro il progetto di riarmo europeo e planetario, in un contesto in cui la narrazione della guerra come possibile alternativa alla politica e alla diplomazia  torna ad avere piena e larga legittimità. È stato un modello europeo e mondiale quello in cui si è inserita la privatizzazione dell’industria del Sulcis Iglesiente; è un modello europeo e mondiale quello in cui si inseriscono l’insediamento e l’espansione dell’industria bellica a Domusnovas.

A tutto questo bisogna opporsi, per indicare concrete alternative possibili. È un lavoro fatto bene dal comitato riconversione Rwm, la Rete Warfree e tutte le associazioni collegate presenti nel Sulcis. Realtà che sono  riuscite a bloccare per anni la crescita della produzione Rwm a Domusnovas e anche di recente stanno modificando, a favore di un’ipotesi di riconversione civile dell’industria bellica, equilibri politici e sindacali che sembravano consolidati. L’informazione ha un ruolo importante nel sostenere questo vostro preziosissimo impegno, che bisogna continuare a praticare con il rigore e con il coraggio che il mondo grande e terribile oggi richiede a tutti, attivisti e giornalisti.

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