Le navi della Sumud Flotilla arriveranno nelle vicinanze di Gaza nel pieno dell’atto finale dell’occupazione militare israeliana con il contemporaneo spostamento forzato della popolazione palestinese. Un’operazione ampiamente annunciata dal governo Netanyahu, nonostante il dissenso interno di parte dell’esercito di Tel Aviv, di settori della società civile israeliana e la condanna di una larga parte della comunità internazionale.
Ha sorpreso la partecipazione popolare a sostegno della missione umanitaria, che stavolta avrà dimensioni di gran lunga maggiori delle precedenti iniziative andate ad infrangersi nella reazione delle forze armate e di polizia israeliane.
Preoccupano, comunque, le minacce pronunciate dal ministro Ben Gvir che ha promesso ai naviganti solidali lo stesso trattamento riservato ai terroristi. I sindacati coinvolti direttamente nella Flotilla hanno annunciato di promuovere lo sciopero generale in caso di ostacolo alla missione, ma hanno già proclamato alcune ore di sciopero nelle giornate di venerdì 19 settembre da parte della Cgil e lunedì 22 settembre per iniziativa dell’Usb, sigla che rappresenta i portuali del Calp di Genova.
Sul sito globalsumudflotilla.org/ è accessibile in tempo reale l’iter aggiornato delle imbarcazioni dirette a Gaza.
Ma cosa spinge così tante persone a mettersi in mare per compiere un’operazione che andrà incontro a dei pericoli e appare destinata a non realizzarsi di fronte all’annunciato intervento delle forze armate israeliane?

Antonio Mazzeo, al ritorno in Italia dopo l’espulsione decretata da Israele , 28 luglio 2025. // ANSA
Lo abbiamo chiesto ad Antonio Mazzeo, giornalista di inchiesta e attivista pacifista tra i più esperti nel campo degli armamenti, che ha partecipato nel luglio scorso alla missione della Freedom Flotilla con l’imbarcazione Handala, fermata poi in mare dagli incursori della Marina militare israeliana. Mazzeo è stato arrestato e poi espulso verso l’Italia.
Cosa vi ha spinto in questa impresa che ora vede coinvolte un gran numero di imbarcazioni salpate verso Gaza?
Le “Freedom Flotilla” (Fronte della Libertà) che cercano di raggiungere Gaza sono composte di persone di diversa provenienza che avvertono prima di tutto un profondo senso di impotenza e nausea nei confronti del comportamento dei vari governi di fronte a quello che appare sempre di più apertamente come il genocidio in diretta del popolo palestinese.
Mi pare riduttivo restringere la responsabilità solo al governo Netanyahu o ad alcuni elementi estremisti e suprematisti. Chi si mette in moto è spinto dalla consapevolezza collettiva che i governi occidentali e notevoli gruppi economici e finanziari sono complici dei crimini commessi, e sente perciò il dovere di agire direttamente, rifiutando di delegare a chi sostiene indirettamente o direttamente il genocidio.
Assieme a tanta vicinanza espressa da migliaia di persone in fila per consegnare cibo e medicine da portare a Gaza, non mancano le critiche sulle modalità e l’utilità effettiva dell’impresa…
Teniamo presente che queste missioni sono preparate con estrema attenzione, allo scopo di testimoniare la solidarietà e la necessità di un’azione diretta nonviolenta. È inevitabile l’interesse a sminuire l’importanza delle motivazioni dei partecipanti e i problemi organizzativi.
L’obiettivo principale è quello di portare un “pizzico di umanità” in un luogo dove l’umanità è stata cancellata da decenni, offrendo solidarietà diretta a una popolazione che vive in condizioni disumane.
Come è avvenuto il blocco della nave dove eri imbarcato?
Siamo stati fermati contro ogni regola in acque internazionali da parte di un gruppo di incursori militari a volto coperto. Sono rimasto colpito dagli occhi di quei giovani in uniforme che si sono trovati di fronte persone inermi e pacifiche invece di chissà quale immagine costruita dalla propaganda promossa dai loro superiori. Alcuni di loro hanno abbassato lo sguardo. Potevano avere l’età dei miei studenti. È stato un momento in cui è emersa l’umanità possibile anche di fronte alla barbarie.
Che domande sorgono in questi momenti?
Credo che sia necessario interrogarsi sulle responsabilità dell’Occidente negli ultimi 20 anni per non aver impedito l’attuale martirio del popolo palestinese. Assistiamo ad un disinteresse e ad una disattenzione totali verso la violenza disumana perpetrata per generazioni a Gaza, che ora sta vivendo la “soluzione finale”. Mi chiedo: cosa ne sarà di una generazione che ha vissuto tali orrori, e di fronte all’impunità e all’indifferenza della comunità internazionale? Cosa si risponde di fronte allo sterminio della tua famiglia ed amici? Non si sentirà condannata ad armarsi per rivendicare il proprio diritto all’esistenza? Intere generazioni di giovani palestinesi, di fronte all’impossibilità di vedere rispettati i diritti umani e il diritto internazionale umanitario, sono messe di fronte alla resistenza armata come l’unica possibile.
In che modo la Sicilia assume un ruolo strategico negli scenari di guerra globali?
La Sicilia, e in particolare la base di Sigonella, è un luogo strategico e centrale per operazioni militari in tutti i conflitti globali dagli anni ’90 a oggi, dal Vietnam all’ex Jugoslavia, Iraq e Afghanistan. Attualmente, Sigonella è in prima linea nei conflitti russo-ucraino e nel sostenere Israele nelle operazioni a Gaza, Libano, Siria, Yemen e Iran. Dalla base decollano e atterrano costantemente aerei statunitensi o NATO per missioni di intelligence, individuazione di obiettivi e supporto logistico, trasportando carichi di armi e munizioni verso Israele.
Ma la base non è degli Usa?
Teniamo presente che il comando della base di Sigonella è affidato a un colonnello dell’Aeronautica militare italiana, il che implica un coinvolgimento diretto dell’Italia, non solo territoriale ma anche formale e giuridico, in quanto le autorizzazioni di decollo e atterraggio passano dal Ministero della Difesa italiano. Inoltre, a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, esiste un terminale terrestre del sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS, dipendente dal comando USA di Sigonella, fondamentale per la trasmissione di comandi e informazioni strategiche per le operazioni di attacco. La città di Catania ospita anche uno dei comandi avanzati di Frontex, l’agenzia europea che si occupa della “difesa delle frontiere esterne” e coordina operazioni contro l’immigrazione, spesso utilizzando droni acquistati dall’industria militare israeliana, con un conseguente coinvolgimento nelle politiche migratorie europee.
I porti rappresentano una prospettiva per capire il mondo….
Infatti i porti siciliani, come quello di Catania, giocano un doppio ruolo significativo nel contesto delle crisi globali. Da un lato, sono punti di partenza per missioni di pace e umanitarie dirette a luoghi come Gaza, testimoniando l’impegno di parte della società civile nel cercare di alleviare le sofferenze e portare solidarietà. Dall’altro lato, questi stessi porti sono purtroppo “porti di arrivo di tante tragedie” legate alle migrazioni. Sorelle e fratelli migranti tentano di attraversare il Mediterraneo in cerca di sicurezza e serenità, fuggendo dai “crimini globali” perpetrati nel continente africano e nel sud-est asiatico, dai crimini climatici e ambientali ai veri e propri crimini di guerra.
Come docente delle scuole superiori non averti una legittimazione progressiva della necessità della difesa e quindi delle armi dopo la data epocale del 24 febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina?
Siamo davanti a una narrazione mediatica del conflitto russo-ucraino basata su un’eccessiva semplificazione e nella tendenza a iniziare l’intera vicenda a partire dal 24 febbraio 2022. La “storia” è invece un elemento di grande complessità che richiede di analizzare gli eventi su un arco temporale più lungo, anche di secoli, per comprendere le cause profonde del conflitto. La stessa parola Ucraina significa “terra di confine”, e rimanda alla vicenda del crollo del blocco sovietico e agli accordi presi in quella fase che sono rimasti disattesi in termini di neutralità dopo il 1989. La complessità è uno strumento essenziale per arrivare a soluzioni e mediazioni possibili tra gli attori in campo, piuttosto che limitarsi a slogan e retoriche che conducono inevitabilmente alla guerra
Un termine che è diventato sempre più dominante nella giustificazione della guerra è quello della difesa della propria sovranità…
È un concetto usato in maniera selettiva: la sovranità è “sacra” quando viene violata dalla Russia in Ucraina, ma viene ignorata quando gli Stati Uniti o gruppi economici finanziari transnazionali si appropriano delle risorse (terre rare, fonti energetiche) di un Paese, di fatto trasformandolo in una colonia. La vera sovranità nazionale implica la possibilità per un governo di decidere realmente sul futuro, sui territori e sulle ricchezze del proprio Paese. Arriviamo così all’ipocrisia di sostenere la sovranità in un caso armando un Paese e contribuendo al suo indebitamento, mentre in altri contesti come la Palestina si ignorano le violazioni dei principi di autodeterminazione e del diritto internazionale. Un caso eclatante per me, docente di educazione fisica, riguarda d esempio la partita di calcio in programma il 14 ottobre a Udine tra Italia e Israele.
Perché?
Ritengo atroce e impensabile permettere di giocare una partita di calcio a distanza di pochi giorni da quando Israele celebrerà come promesso il 7 ottobre una “Gaza City completamente liberata” dall’esistenza di esseri viventi. Sono in crisi i principi fondamentali dello sport come agente di socializzazione, costruttore di pace e relazioni tra i popoli, valori che cerco di trasmettere ai miei studenti alunni. Come farò il 15 ottobre a presentarmi in classe, a descrivere alle mie alunne e ai miei alunni lo sport come veicolo di pace, mentre si ignora il massacro di centinaia di bambini e giocatori di calcio palestinesi?
Partecipare ad iniziative come quella della Flotilla vuol dire lanciare un’esortazione pressante alla comunità internazionale, e in particolare alle nuove generazioni, affinché si interroghino profondamente sulle proprie responsabilità e sulla coerenza delle proprie azioni di fronte ai conflitti e alle violazioni dei diritti umani.
Al contrario di quanto avvenuto con la strage degli armeni e poi con il tragico olocausto dei ebrei, rom e altre minoranze, stavolta il genocidio sta avvenendo in diretta sotto gli occhi di tutti. Nessuno potrà dire di non aver saputo.