Perché non dare il nobel per la Pace a papa Francesco?

Il riconoscimento è toccato questo anno all’Opac, la grande organizzazione internazionale che si occupa dello smaltimento e della distruzione delle armi chimiche, ma anche il pontefice lo avrebbe meritato per il suo impegno a favore della pace. Un commento
Udienza di papa Francesco

Prendo atto con soddisfazione che il premio Nobel per la Pace è toccato questo anno all’Opac, la grande organizzazione internazionale che si occupa dello smaltimento e della distruzione delle armi chimiche. Questa scelta è comprensibile, avendo tutti vissuto i giorni della guerra in Siria e di un possibile intervento armato americano e di altri paesi nei confronti di questo Paese, proprio a causa dell’uso delle armi chimiche.

Ma avevo sperato in un’altra scelta. Avevo sperato che il premio fosse dato a papa Francesco per il suo viaggio a Lampedusa, dove ha portato la croce degli immigrati, e la sua preghiera e il digiuno per la pace, che ha fermato la guerra, un attimo prima che tutto si mettesse in moto.

Il papa ha avuto parole di verità sulla tragedia degli immigrati e dell’immigrazione, generata dalla povertà e dalla guerra. Non retorica ma verità… In questo modo ha inchiodato il mondo alle sue responsabilità, ha chiesto a credenti e non credenti di farsi carico della sofferenza di chi ha lo stigma della povertà e della guerra.

Il papa ha osato promuovere la pace, quando molti cercavano la guerra, una guerra dalle conseguenze assolutamente imprevedibili. Ha generato una nuova cultura della pace, che ha stupito l’intera umanità. Sono risuonate le parole del perdono,del dialogo, della riconciliazione secondo una eco universale, interpretando il bisogno profondo dell’umanità soprattutto dei piccoli e delle vittime.

So bene le obiezioni che stanno dietro alla questione di dare un premio al papa, ma non possiamo dimenticare che alla fine della sua vita, venti giorni prima di morire, papa Giovanni ha avuto il premio Balzan per la pace, proprio perché aveva cambiato il mondo e la sua cultura della guerra, la guerra e la sua giustificazione, e aveva intravisto la speranza della pace e la forza inerme di questa parola.

Sarebbe stato bello se a cinquanta anni dalla Pacem in terris e dalla morte di papa Giovanni, il Premio Nobel della Pace fosse stato attribuito al vescovo di Roma, che ha scelto il nome unico e straordinario di Francesco e che ogni giorno semina in abbondanza la cultura dell’incontro e della riconciliazione. E che costringe tutti a cambiare il vocabolario della politica e della vita.

In questo modo il comitato di Oslo, premiando questo papa, avrebbe indicato la via di quella cultura della riconciliazione tra i popoli e della abolizione delle armi, di tutte le armi, che abbiamo almeno per un attimo sperimentato in quella preghiera e in quel digiuno che hanno cambiato la vita di tutti nei primi dieci giorni di settembre, quando sembrava che tutto precipitasse.

I poveri e la pace, parole di Francesco,di papa Giovanni e di papa Francesco, sono come lampada che illumina la notte della guerra, della violenza, dell’egoismo sociale e personale. Bastava seguire questa lampada per prendere una decisione più coraggiosa e lungimirante.

Anche il comitato del premio Nobel deve avere più coraggio, essere meno burocratico. Forse molti speravano anche nella piccola Malala, la cui storia ha emozionato il mondo. Sarebbe stato un bel Nobel.

Ma noi oggi e domani abbiamo bisogno di una nuova sapienza della pace e questo avrebbe rappresentato papa Francesco, i cui segni accendono i cuori dei piccoli e delle vittime e impongono ai potenti di cancellare la guerra dal vocabolario dell'umanità, se non vogliamo perire tutti.

Ciò che è veramente importante è che al di là del premio, la strada è segnata per tutti e, lungo questa strada, nuovi profeti di pace nasceranno, perché un seme nuovo è entrato nella terra, per ricordarci che non c’è alternativa al dialogo e alla riconciliazione.

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