Perché La Pira è scomodo e attuale

A 40 anni dalla scomparsa resta il modello di una politica autentica e affascinante. Alla scoperta di una testimonianza radicale che spesso si vuole ridurre ad un “santino inoffensivo”. Il senso della sua scelta cristiana e i rapporti difficili nel suo partito. Intervista a professor Marco Luppi
La Pira archivio

Il toscano cardinal  Gualtiero Bassetti lo ha conosciuto bene. Lo cita in ogni occasione, come trama di un rapporto che continua alla ricerca di quei segni dei tempi che questo sindaco di Firenze, nato in Sicilia, sapeva vedere e mostrare a tutti, anche andando controcorrente. Soprattutto nel campo della giustizia sociale e della pace. Si spiega così il tentativo ricorrente di rinchiudere Giorgio La Pira nella rassicurante versione agiografica così lontana dalle sfide odierne. È perciò importante parlarne in maniera approfondita con Marco Luppi, professore incaricato del corso Storia politica contemporanea all’Istituto universitario  Sophia – Loppiano, di ritorno da una significativa esperienza di docenza nel mondo latinoamericano presso il Centro Universitario Tabosa de Almeida Asces-Unita di Caruaru, Stato del Pernambuco, Nord-est del Brasile.

Come studioso di storia contemporanea ed esperto della vita di La Pira, quali tratti emergono dalla sua vita che lo sottraggono ad una riduzione a santino inoffensivo? Cosa disturbava nella sua posizione in campo sociale e della lotta per la pace?

All’interno di una stagione complessa per il mondo della politica, sempre più criticato proprio per la difficoltà di stabilire un dialogo costante con i cittadini, soprattutto in riferimento ai rivendicati diritti fondamentali (lavoro, istruzione, povertà, inclusione), La Pira si ripresenta come un testimone credibile e “scomodo”. Credibile perché non ebbe timore ad affrontare quotidianamente i nodi del suo impegno politico, tanto nella ricca vicenda amministrativa di Firenze che nell’impegno per la pace a livello mondiale. Nel fare questo prese sul serio, senza screditare nessuno – anzi ponendo ciascuno al proprio posto – tutte le componenti interessate ad una crisi, ad una vertenza, alla soluzione di una problematica concreta. Era credibile perché affrontò l’esperienza politica senza annacquare il proprio messaggio, profondamente radicato nella sua scelta cristiana.

In che modo declinò questa scelta?  

Dico “cristiana” non tanto o non solo come scelta spirituale e religiosa privatistica, ma come riferimento antropologico intero ed universale, che guardava al valore dell’uomo e alle sue potenzialità. Da quella posizione era in grado di dialogare con tutti e di stabilire punti di contatto con realtà diversissime, che trovavano in La Pira non solamente attenzione e ascolto, ma una forte volontà di lottare per il rispetto della dignità umana, per la costruzione di una società in grado di armonizzare le proprie diversità, per la pace intesa come condizione di armonia che nasce dalla volontà di affrontare i drammi e le sfide attraverso la riscoperta di radici condivise, di valori universali come la fraternità. Egli è stato – e rimane – un testimone scomodo perché non può essere “incasellato” e perché, nel dubbio, si è sempre schierato dalla parte degli ultimi.

Quale è stato il rapporto con la direzione del Democrazia Cristiana?  E quello con Luigi Sturzo?

L’esperienza di La Pira è nata prima di tutto come un percorso di formazione politica, che egli ha svolto per i giovani del vasto mondo cattolico degli anni 1930-1950 (Azione Cattolica, FUCI, Movimento Laureati) e come giurista presso l’Università di Firenze, attraverso la passione per il diritto romano, che lo portò a lavorare in prima linea tra i Padri Costituenti nella scrittura della nostra Carta fondamentale. Quando si trattò di rispondere ad una richiesta di candidatura da parte della Democrazia cristiana, prima alla Costituente e poi in Parlamento, La Pira acconsentì per motivi di opportunità (la volontà di dare il proprio contributo), e certo anche per un certo senso di appartenenza, visto e considerato che in quel momento la DC rappresentava il partito più vicino ai suoi ideali politici e la “scommessa” di una rappresentanza per i cristiani in politica. Tuttavia egli non ebbe mai la tessera di partito, perché, interpretandone l’indole e la storia, desiderava non sentirsi “costretto” dentro una definizione troppo schematica, perché amava spaziare nel terreno delle sfide che l’umanità presentava quotidianamente. Altra cosa che bisogna ricordare era la sua appartenenza al gruppo dossettiano, che aveva il proprio punto di riferimento in Dossetti, brillante giurista emiliano, uno tra i leader della seconda generazione democristiana.

Quali furono i rapporti tra La Pira e Luigi Sturzo?

Gli appartenenti a tale corrente dossettina (Fanfani, Lazzati, Vanni Rovighi, Gui, tra i principali) rappresentarono le idealità e le istanze delle nuove leve in dialogo con De Gasperi e i reduci dall’esperienza del partito popolare, in un confronto spesso anche molto animato. Il gruppo, in cui La Pira rappresentava una delle personalità maggiormente esposte, colse e sviluppò il lato più riformista della stagione di ricostruzione e sviluppo della società italiana, con la volontà di non lasciare ai partiti di sinistra il monopolio della rappresentanza delle problematiche sociali, o le proposte alternative in campo economico rispetto al duopolio capitalismo-comunismo. Tali scelte posero La Pira in contrasto con alcune posizioni di Luigi Sturzo, che egli non conobbe approfonditamente, anche perché il sacerdote siciliano, di ritorno dalla fase di “esilio” negli Stati Uniti, fece fatica a reinserirsi nel dibattito politico, mostrando una rigidità che poteva essere più figlia della stanchezza legata alla sua storia personale, alle traversie subite e, per certi versi, all’uso strumentale che il cattolicesimo moderato volle fare della sua persona. Ma la storia che ci è stata rivenduta dalla pubblicistica di allora, Sturzo liberista contro La Pira statalista, fu una semplificazione giornalistica e parla di una contrapposizione che non è esistita in concreto come scontro personale, quanto piuttosto come uno scambio avvenuto per alcune settimane sui giornali.

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