Perché continuiamo a vendere armi a Paesi in guerra?

Nonostante esposti e denunce per violazione della legge 185/90, l’Italia continua a fornire armamenti a governi impegnati in conflitti, come quello in Yemen, che provocano migliaia di vittime e feriti. Lo scandalo rimosso e la giustificazione del realismo politico. Un seminario aperto il 5 luglio alla Camera per parlamentari e associazioni
War Yemen

A marzo del 2016, mentre i giovani del Movimento dei Focolari proponevano un seminario nell’aula dei gruppi parlamentari per incontrare deputati e senatori disposti a confrontarsi su fraternità e disarmo possibile, partivano da Cagliari 5 milioni di euro di bombe destinate all’Arabia Saudita, Paese a capo di una coalizione impegnata nella guerra in Yemen. Un conflitto che ha provocato 4 mila morti (di cui almeno 400 bambini), 20 mila feriti e oltre un milione di sfollati. I bombardamenti effettuati dalla coalizione a guida saudita sono stati condannati esplicitamente dal segretario dell’Onu Ban Ki moon. A grande maggioranza, anche il Parlamento europeo, nel febbraio 2016, ha votato una risoluzione che chiedeva alla vicepresidente della Commissione ed alto rappresentante della Politica estera, l’italiana Federica Mogherini, di lanciare un'iniziativa volta ad imporre un embargo di armi nei confronti dell'Arabia Saudita.

 

In generale, come fa notare la Rete italiana disarmo (Rid), tra i Paesi dell’Unione europea, l’Italia risulta uno dei maggiori fornitori di sistemi militari alle monarchie del Golfo. Ad esempio il 16 giugno è stato perfezionato con il Qatar, con presenza del ministro della Difesa Roberta Pinotti e degli amministratori delegati di Fincantieri e di MBDA (azienda missilistica di cui anche Finmeccanica-Leonardo fa parte), un contratto per la fornitura di mezzi navali e sistemi d’arma per circa 5 miliardi di euro.

 

L’accordo, ha sottolineato Rid, «è stato siglato con il ministro per gli Affari della difesa Khalid bin Muhammad Al-Attiyah, che poche ore dopo si è recato in visita alle truppe del suo Paese attive nel conflitto sanguinoso in Yemen. Guerra che sta seminando morte soprattutto tra i civili, in palese violazione dei princìpi di base della nostra legislazione sull'export di armamenti».

 

È davanti a tali fatti, di solito rimossi dai palinsesti dei principali media, che Andrea Goller e Rosalba Poli, responsabili del Movimento dei Focolari in Italia, hanno ritenuto in coscienza di non poter accettare il riferimento al vincolo del principio di realtà in politica proposto da alcuni parlamentari presenti al dibattito del 16 marzo, proponendo alcune domande aperte. In quell’incontro i giovani non sono intervenuti con dichiarazioni teoriche o buoniste ma con un documento di analisi della produzione di armi in Italia e, soprattutto, con la testimonianza di un ingegnere a inizio carriera che ha scelto di non lavorare in una società che produce missili.

 

Le domande che nascono da una presa di coscienza non sono fatte per motivi retorici, ma chiedono di aprire un serio ed esigente dialogo. Per questo motivo il Movimento politico per l’unità italiano ha promosso per il pomeriggio del 5 luglio 2016 un nuovo seminario parlamentare aperto presso la Camera dei deputati, partendo da due relazioni di autorevoli centri di ricerca: l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD), con l’intervento del professor  Maurizio Simoncelli cofondatore dell’IRIAD, e l’Istituto Affari internazionali (IAI), con il contributo del professor Jean Pierre Darnis, direttore del programma Sicurezza e difesa dello IAI.

 

Si partirà dalle domande avanzate il 16 marzo:

1.     Come mai micidiali bombe partono periodicamente dal nostro territorio (Sardegna) per essere esportate in Arabia Saudita in violazione della legge 185/90?

 

2.     Come mai Finmeccanica (controllata per il 30 per cento dal ministero dell’Economia e finanza) sta cedendo progressivamente il settore civile per investire nel comparto delle armi seguendo una politica industriale degli armamenti che offre meno posti di lavoro di altri comparti tecnologici, promuove di fatto i conflitti armati diffusi a livello planetario e ha una scarsa ricaduta economica sul territorio? Perché non si destinano fondi pubblici alla riconversione dell'industria bellica come previsto dalla legge 185/90?

 

3.     Come mai l'Italia ospita sul suo territorio, nelle basi militari di Aviano e Ghedi, 70 bombe nucleari B61 quando può legittimamente chiedere agli Stati Uniti di riprendersi questi strumenti di morte, come hanno fatto altre nazioni che appartengono all’Alleanza atlantica?

 

Al seminario del 5 luglio parteciperanno parlamentari ed esponenti di diverse associazioni, come si può consultare sull'invito.  

 

L’iniziativa dell'Mppu Italia nasce in collaborazione con Città Nuova assieme a Centro nazionale per il volontariato, Centro internazionale Giorgio La Pira di Firenze, Comunità di S. Egidio, Tavola della Pace, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, Rete della Pace, Rete italiana disarmo, Sbilanciamoci, Giovani per un Mondo Unito, Umanità Nuova, Scuole di partecipazione Mppu,  Legambiente e Avvenire.

Per partecipare richiedere accredito a mppu-italia@mppu.org

 

Qui il primo piano su guerre e armamenti pubblicato sulla rivista Città Nuova 

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