Per una nuova stagione

Si conclude l’11 giugno l’anno dedicato ai preti cattolici. Tempo di primi bilanci e di un nuovo inizio.
Sacerdoti

L’annuncio di un Anno sacerdotale è stato una sorpresa? Quando la decisione, il 16 marzo 2009, venne resa pubblica, è vero, risuonò come un rintocco di campane inatteso. L’anno dedicato a san Paolo era in dirittura d’arrivo e la tempesta che si stava per abbattere sulla Chiesa era ancora lontana. Il papa alla plenaria della Congregazione per il clero nella Sala del Concistoro in Vaticano comunicò la novità: in occasione del 150esimo «della nascita al Cielo» del Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, l’anno sarebbe stato dedicato ai 400 mila sacerdoti della Chiesa cattolica «per favorire la tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale».

Chiuso l’anno paolino, il papa aprì così a sorpresa uno speciale anno giubilare dedicato ai sacerdoti.

 

Un’iniziativa profetica

 

 «La decisione non solo risultò inaspettata – ribadisce don Enrico Pepe, responsabile del Movimento sacerdotale dei Focolari – ma, apparentemente, senza una adeguata preparazione remota. Eppure il porre l’attenzione sulla figura del sacerdote è risultata un’iniziativa profetica». Neanche il più pessimista dei commentatori o il più fosco scrittore di un fanta-thriller vaticano avrebbe mai osato prevedere cosa sarebbe successo da lì a poco.

Otto vescovi dimessi e decine di casi pubblici, per uno scandalo, quello dei preti pedofili, che ha rischiato di oscurare la credibilità di un’istituzione che si è costruita nei secoli una inossidabile affidabilità nata dal sacrificio, dall’amore e dalla dedizione, a volte fino al martirio, di migliaia di santi, apostoli e comuni testimoni.

Se, ad una lettura superficiale, l’Anno sacerdotale poteva apparire come poco più che un accorato invito spirituale per riflettere in modo autoreferenziale sulla vocazione dei sacerdoti, si è rivelato, nei fatti, un richiamo radicale alla conversione di tutta la Chiesa tanto più incalzante e attuale quanto più sospinto dalle notizie terrificanti e imbarazzanti fornite dai mezzi di comunicazione che superavano ogni fantasia e malizia.

 La vicenda della pedofilia ha messo in moto, paradossalmente, un circuito virtuoso, sotto molteplici punti di vista, che costituisce l’avvio di un percorso di cambiamento profondo all’interno della Chiesa. Innanzitutto la trasparenza, anche mediatica. Una trasparenza che renda la Chiesa sempre più «una casa di vetro», dove, anche senza appartenerci, si possa vedere con chiarezza cosa accade all’interno. Questa apertura alla verità può aprire ad una conoscenza sempre maggiore dei suoi tesori e testimoni inestimabili per una nuova stagione del cristianesimo.

 

La coerenza e la fraternità

 

«A volte – dice don Adolfo Raggio, esperto di pastorale – , osservando la vita di alcuni uomini di Chiesa, sembrava non fosse necessaria la coerenza tra la parola del Vangelo annunciata e la parola vissuta.  Mentre, come in ogni buona famiglia, le parole sono comprese e i valori interiorizzati dai figli, solo se i genitori li vivono con il loro esempio».

La fraternità, poi. Quante volte abbiamo letto nel Vangelo che il mondo crederà in Dio se vedrà l’unità, la fraternità tra tutti i membri del popolo di Dio? Quella Chiesa «casa e scuola della comunione» potrà realizzarsi se la spiritualità di comunione sarà applicata in tutti gli strati della società cristiana: vescovi, sacerdoti, comunità, diocesi, famiglie.

Rimangono aperte alcune questioni. «Soprattutto la selezione e la formazione dei candidati al sacerdozio – afferma don Silvestre Ourives Marques, direttore di un corso per educatori nei seminari – di cui deve essere meglio accertata la piena maturità affettiva, la presenza della donna nella preparazione al sacerdozio, per ora relegata a una presenza marginale, la riscoperta del valore e dei presupposti della scelta celibataria».

Alla base di tutto, una profonda rivalutazione di cosa significhi vivere da cristiani per dare il primato alla scelta di Dio e non al sacerdozio o alla carriera. «Bisogna – scriveva Chiara Lubich – che il sacerdote migliori il suo essere cristiano, che significa vivere il Vangelo con cui lo Spirito Santo risveglia la Chiesa, i laici, i sacerdoti e i vescovi. Allora tutte le crisi spariranno».

 

Le iniziative nel mondo

 

Per fortuna, contrariamente a quanto certi media vorrebbero farci credere, l’anno trascorso non è stato solo “scandali e preti”. Innumerevoli sono state le iniziative nel mondo improntate allo stile della comunione e della fraternità. 

Tra i fatti più visibili e ufficiali ci sono i viaggi del card. Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, che ha incontrato cinque mila preti in Polonia e mille in Brasile dove tra l’altro ha detto che «essere pastore dei fedeli è un servizio amoroso e disinteressato, nel quale il sacerdote dimentica sé stesso al punto di donare la propria vita per la comunità».

Nel corso del Convegno teologico svoltosi a marzo presso la Pontificia università lateranense sul tema dell’Anno sacerdotale “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”, molto interessante l’intervento di Guzmán Carriquiry, sottosegretario del Pontificio consiglio per i laici, che ha affrontato le questioni più rilevanti nei rapporti tra clero e laicato, in funzione l’uno dell’altro e complementari. E per quanto riguarda la partecipazione del sacerdote nei movimenti sottolineava come, in genere, «è un fatto che rinnova la propria vocazione, arricchisce il proprio ministero grazie alla carica carismatica, rende più capaci di fedeltà al proprio vescovo, più legati alla fraternità del presbiterio, più disponibile al servizio di tutti».

Molte diocesi italiane ed europee si sono, poi, recate in pellegrinaggio ad Ars, per conoscere i luoghi di quell’umile contadino, fattosi prete, che aveva infiammato la Francia. Sono magari piccoli gruppi di sacerdoti con i loro vescovi e fedeli che dimostrano la partecipazione delle Chiese locali all’Anno sacerdotale di cui è difficile quantificare sia i numeri sia il profondo impatto spirituale. Così come si sono moltiplicate le adorazioni eucaristiche organizzate da laici per pregare per i preti. E così come molti anziani e persone malate offrono le loro sofferenze per la santità dei sacerdoti.

 

La kènosi

 

Cosa succederà dal 9 all’11 giugno in cui si chiuderà l’Anno sacerdotale a Roma con il papa e otto mila preti dall’Europa e con presenze significative dai continenti? Alla luce di quanto accaduto quest’anno, sembra profilarsi un nuovo inizio, già seminato nei mesi precedenti. Non ha importanza, come rilevano alcuni commentatori, se il papa farà o meno un solenne mea culpa per lo scandalo dei preti pedofili. L’essenziale lo ha già detto, sin dagli esordi. «Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo – aveva affermato nell’udienza generale del 24 giugno del 2009 – alla sua kènosi, rende autentico l’annuncio!». Perché l’annuncio «comporta sempre anche il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico e efficace». E solo nel dare la vita, nella radicalità dell’amore si profila il più alto ideale cristiano per scrivere il futuro della Chiesa. Anche prossimo. E per ritrovare, se fosse smarrito, un nuovo afflato spirituale per rinnovare la propria vocazione.

 

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Ri-formarsi

Mons. Francesco Lambiasi è vescovo di Rimini e presidente della Commissione episcopale per il clero della Cei.

 

Un bilancio dell’Anno sacerdotale dal suo punto di vista?

«È servito a riprendere coscienza della necessità di una riforma della Chiesa per un rinnovamento spirituale, perché la crisi è spirituale. Il papa vede lontano e in profondità anche in quest’ora di buio e la penitenza è la rotta da lui indicataci per ri-formarsi di nuovo e purificarsi per puntare in alto, alla santità, al cuore del nostro ministero: dare la vita per gli altri».

 

Come promuovere «l’impegno d’interiore rinnovamento» di tutti i sacerdoti?

«Attingendo al grande patrimonio della storia della Chiesa perché per essere annunciatori bisogna prima essere ascoltatori. Oggi è difficile essere cristiani anche da preti. Dobbiamo ritornare alle sorgenti della fede: la parola di Dio, la liturgia e la carità fraterna».

 

La comunione è la prima testimonianza. Come viverla?

«La spiritualità di comunione, rilanciata da Giovanni Paolo II, è anche rifuggire da alcuni virus che attecchiscono sui sacerdoti: protagonismo e carrierismo. In positivo significa vivere la comunione in ogni ambito e dimensione della Chiesa perché la comunione non si può vivere ad intermittenza: o cresce sempre di più o si rompe. Significa anche essere uniti a priori nell’essenziale e capaci di convergere anche nell’opinabile.

«La comunione non è un compromesso diplomatico; è essere uno. Ed è possibile se ci sentiamo chiamati ad accogliere e contagiarla attorno con la nostra vita. Siamo servi e animatori di una famiglia in comunione».

 

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I Focolari e l’Anno sacerdotale

 

Per la conclusione dell’Anno sacerdotale i Focolari, assieme ai sacerdoti di Schoenstatt e al Rinnovamento nello Spirito, promuovono l’incontro Sacerdoti oggi con testimonianze e contributi artistici nell’Aula Paolo VI dalle ore 16 alle 19 di mercoledì 9 giugno. L’evento verrà trasmesso in diretta su Telepace e altre tv e sarà riproposto quella stessa sera alle 22 da tv2000.

Impossibile citare tutte le iniziative: ricordiamo i quattro volumetti 365 pensieri per l’Anno sacerdotale, editi da Città Nuova, i convegni realizzati in tutto il mondo in collaborazione con le diocesi e altri movimenti, l’intervento di Maria Voce, presidente dei Focolari, davanti a cinque mila preti delle Filippine e lo spettacolo Ars Amoris – L’amore che parte da Ars del regista Redi Maghenzani, da noi intervistato, che ripercorre la vita del Curato d’Ars.

 

Qual è oggi l’ attualità del Curato d’Ars?

«L’attualità del curé è di aver saputo trovare risposte alle sfide del suo tempo: un uomo che osa, che non si cura troppo di ciò che ha intorno ma va dritto con radicalità, secondo l’ideale che gli ha penetrato il cuore. In un tempo in cui le chiese si vuotano lui le riempie. I confessionali sono deserti? Il suo straripa. La sua agenda in un certo periodo prevedeva fino a 300 colloqui-confessioni al giorno. È morto sfinito. Il curé può aiutarci ad essere coerenti, radicali, spiazzanti nella direzione che è richiesta a noi oggi. Cambia la cornice ma il quadro è lo stesso: bisogna saperlo dipingere».

 

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Un prete “tra le case”

Don Luigi Ciotti, sacerdote dal 1972, è stato ordinato dal card. Michele Pellegrino che come parrocchia gli affida “la strada”. È presidente nazionale di Libera e fondatore del Gruppo Abele.

 

Si contrappongono, a volte, due concezioni di sacerdote: una sottolinea l’aspetto sociale e funzionale come servizio ad una comunità, l’altra evidenzia la dimensione sacramentale. Qual è il suo modello di sacerdote?

«L’impegno e la responsabilità di un prete sono chiari: annunciare la Parola di Dio, presiedere l’Eucarestia e animare la comunità cristiana affinché testimoni che Gesù vive in mezzo a noi per proporci “fame e sete di giustizia”, fraternità, comunità e perdono. Non credo che esistano due concezioni di sacerdote. È vero piuttosto che ogni “prete” vive il suo ministero in comunione con il suo vescovo, al servizio della Chiesa e con la propria sensibilità, cultura e umanità. Per fortuna non siamo tutti uguali. E ciascuno vive il suo ministero con la propria personalità. Ciò che non deve venire meno nel “prete” è la fedeltà a Dio e all’uomo. Per quanto riguarda invece il mio modello di “sacerdozio”, ritengo che il servizio più completo che un prete possa svolgere resta la vita parrocchiale, nel significato stesso della parola parrocchia: “tra le case”».

 

Cosa consiglierebbe per promuovere un rinnovamento del sacerdozio?

«Il punto non è tanto rinnovare il sacerdozio, ma “rendere nuova” la nostra adesione al Vangelo, “rinnovare” il nostro essere credenti e comunità cristiana. Solo una rinnovata radicalità cristiana è in grado di “donare” alla Chiesa preti migliori».

 

Guardando alle varie emergenze della realtà italiana: mafie, legalità, trasparenza, moralità, quali sono gli ambiti e le modalità in cui servirebbe un’azione più incisiva della Chiesa?

«C’è una legalità “sostenibile”, malleabile a seconda delle convenienze; ci sono regole che valgono per alcuni ma non per altri; c’è una legge che spesso risponde a logiche di potere e non di giustizia, forte coi deboli e debole coi forti. Come Chiesa ci è chiesto allora di essere sentinelle di una giustizia fondata sulla prossimità, sulla corresponsabilità e sui diritti. Dimensione spirituale e impegno civile devono poter coesistere». 

 

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