Per una giustizia più giusta

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Guardando agli innumerevoli problemi che circondano la cura legale di poveri accusati di delitti, sembra che ci siano poche speranze. Non tanto perché i loro diritti legali sono indefiniti (la Corte Suprema garantisce agli imputati indigenti accusati di crimini gravi il diritto della difesa e l’obbligo dello stato di provvederlo). Neppure perché il sistema legale non arriva a riconoscere quanto importante sia assicurare una difesa adeguata al povero. Janet Reno, già procuratore generale, disse che se non aiutiamo adeguatamente la difesa degli indigenti americani accusati di delitti, il popolo penserà che uno ottiene giustizia solo se può pagare un avvocato. Il cuore del problema sta però nel concretizzare tali dettami. La straordinaria mole di processi, gli stipendi bassi, la politica generale ostile ad incrementare l’aiuto finanziario alla difesa di criminali fa sì che sovente questa sia una protezione illusoria. In un caso estremo, nel 1992 in Texas, la pena di morte fu comminata a George McFarland, anche se il suo avvocato difensore d’ufficio aveva dormito durante buona parte del processo. Il giudice aveva pronunciato una battuta: La Costituzione non dice che l’avvocato debba essere sveglio. E nel 1998, i detenuti nella contea di Fulton, nello stato della Georgia, spesso languivano in prigione per più di un anno aspettando d’essere uffi- cialmente accusati anche per piccoli delitti, come i furti. Detto tutto questo, appaiono incredibili i dati del Georgia Justice Project (Gjp), un approccio innovativo per la difesa dei criminali indigenti. Duranti gli anni 2000-2002, solo l’8 per cento dei suoi clienti sono andati in prigione, in confronto degli oltre 70 per cento legati agli avvocati d’ufficio. Negli anni dopo il processo, meno del 19 per cento dei suoi clienti hanno avuto di nuovo a che fare col sistema giudiziario come criminali, in confronto con la media nazionale del 67,5 per cento. Larry Thompson, già procuratore generale degli Stati Uniti, ha descritto il successo del progetto come sbalorditivo. Quale il segreto del successo? Sul sito internet si legge: Siamo un gruppo originale di avvocati, assistenti sociali ed una compagnia di giardinieri. Difendiamo gente accusata di crimini e, vincendo o perdendo, stiamo vicini ai nostri clienti quando rimettono in sesto la loro vita. Questo è l’unico modo di rompere il ciclo di crimini e povertà. Giacché il Gjp è finanziato privatamente, possono essere selettivi. Con approfondite interviste, vengono scelti i clienti che sono in seria difficoltà, che non possono pagare un avvocato e – cosa più importante – che prendono l’impegno di sfruttare quel loro incontro con la legge come una opportunità per cambiar vita. L’avvocato e direttore del progetto, Doug Ammar, spiega: Questo ci assicura che i nostri clienti riusciranno ad andare al di là delle sfide sociali, emotive e personali, che posso avere contribuito ai loro problemi legali . I clienti firmano un contratto per un periodo di prova, che include condizioni soddisfacenti come disintossicazione da droga, apprendimento di un lavoro, conseguimento di un diploma di scuola secondaria, un corso di autocontrollo. Spesso i progressi fatti prima che il caso arrivi in tribunale, diventano un’opportunità per dimostrare l’impegno di cambiare, e si mostra decisivo per il successo del processo legale stesso, o addirittura per il proscioglimento. Gli avvocati si accordano con gli assistenti sociali perché questi si occupino di non oltre 15-20 casi alla volta, e non più di cento all’anno. In questo modo hanno tempo non soltanto per prestare maggiore attenzione agli aspetti legali di ogni caso, ma anche di sviluppare e nutrire rapporti con ogni cliente. Risultato: la crisi legale spesso porta i criminali a una guarigione profonda e diventano essi stessi un ponte che aiuta i clienti a ricollegarsi con le loro famiglie, a continuare la loro educazione, e se il caso ad impegnarsi per disintossicarsi. Per il Gjp, la relazione avvocatocliente è solo l’inizio: gli avvocati difensori e gli assistenti sociali riescono a mantenere i rapporti con i clienti anche per lungo tempo dopo la conclusione del caso. Per chi finisce in prigione, vuol dire visite in carcere e un continuo rapporto con le loro famiglie. Dopo che escono di prigione, i clienti hanno sempre bisogno di aiuto per la perdita dell’abitazione, la non inabilitazione per ottenere il permesso di lavoro, lo stato giuridico dell’immigrazione… Il progetto aiuta proprio in questi servizi cruciali – casa, assistenza medica, consulenza, educazione -, ed anche per ottenere un lavoro con la compagnia New Horizon Landscaping (Giardinieri Nuovi Orizzonti), una parte integrale del progetto. E non mancano nemmeno delle cene per sostenersi a vicenda dopo la scarcerazione. Si dirà che l’incredibile successo del progetto è dovuto alla selezione di una clientela a basso rischio… Non è vero, perché molti di loro sono accusati di gravi delitti. Il fatto è che il Gjp crede che in ciascuno dei clienti esista una piccola e fragile scintilla di speranza, che facilmente si spegne sotto le pressioni d’un sistema criminale di giustizia schiacciante e impersonale. Il progetto vuol far sì che tale scintilla diventi una fiamma ardente. LA VISIONE INIZIALE DEL PROGETTO Il fondatore della Gjp, John Pickens, era socio in un grande ufficio legale di Atlanta in Georgia (Usa). Dopo un periodo di volontariato con dei senzatetto, i poveri assistiti scoprirono che lui era un avvocato e cominciarono a chiedergli consigli legali. Studiando il sistema di giustizia criminale, si è reso conto che esso era incapace di servire i bisogni di imputati indigenti: Sono arrivato a credere che è importante vedere come è amministrata la giustizia nelle nostre corti criminali anche dal punto di vista della fede, perché una prospettiva del genere porta nel sistema una sensibilità che incoraggia compassione, riconciliazione, comprensione, verità, fine dell’oppressione. Questa sensibilità dà equilibrio ad un sistema troppo propenso a durezza, mancanza di rispetto, punizione e chiusura. Dal punto di vista della fede, i criminali diventano uomini un’altra volta, non migliori né peggiori di noi stessi; la povertà, il razzismo e gli abusi fisici e psicologici sofferti da tanti diventano circostanze comprensibili del crimine, e non soltanto scuse intollerabili; la paura è trasformata in amore, il perdono cancella desideri di vendetta; e la speranza per un cambiamento vitale positivo sostituisce l’apatia ed il disinteresse. Visto sotto questo sguardo della fede, molto di quello che il mondo chiama giustizia appare come ingiustizia e rifiuto di trasformazione. Gli uffici del Georgia Justice Project si trovano ora a 200 metri dalla tomba di Martin Luther King. Il progetto ha la missione di creare brani di comunità con la giustizia e l’amore, dove, come Luther King diceva, la fratellanza è una realtà, in tutti gli aspetti della vita sociale. Il fine è la riconciliazione, la redenzione, la creazione di una comunità amata – aveva detto nel 1956 -. È questo tipo di spirito e questo tipo di amore che può trasformare i nemici in amici. È questo tipo di comprensione e di buona volontà che trasformerà la profonda tristezza della vecchiaia nella esuberante gioia della giovinezza. È questo amore che farà miracoli nei cuori delle persone PUNTANDO SULLE PERSONE Doug Ammar, uno dei primi avvocati del Georgia Justice Project, attualmente ne è il direttore esecutivo. Come è stato coinvolto nel Georgia Justice Project? Sono cresciuto nella povertà, e mio padre era drogato; perciò per me l’educazione significava la via di uscita dalla povertà, verso una vita più comoda. Dopo essere stato coinvolto in attività di servizio, ho sentito una sorta di vocazione a entrare nei posti più difficili, con gente in difficoltà, nei ghetti, e lavorare per la giustizia sociale. Il Georgia Justice Project mi è sembrato un modo per assumere la sofferenza del mio passato e anche per vivere da cristiano. Dio non ti salva solo per te stesso, ma ti salva per gli altri. Era il mio caso. La difesa di criminali non manca di problemi… Noi non soltanto difendiamo la gente o offriamo loro un lavoro. La visione del nostro fondatore era quella di creare rapporti che andassero oltre la norma, cioè andare al di là delle barriere dell’essere avvocati, o dell’appartenere alla classe media sociale, o essere bianchi o neri. Gli avvocati spesso sentono che quello che devono offrire alla comunità è quello che sanno fare. È facile nascondersi dietro le lauree. Mentre il contributo più importante è in noi stessi, il costruire rapporti. Fino a che punto si deve incoraggiare il cliente a guardare in faccia la verità su quello che ha commesso? Sono stati fatti molti studi sull’impatto e sull’importanza della responsabilità di quanto si è commesso. Purtroppo, gli avvocati della difesa possono aggravare il processo di nascondimento, bloccando nel cliente l’opportunità di fare passi avanti nella vita. Certamente molti degli accusati sono innocenti: l’anno scorso circa l’80 per cento dei nostri casi sono stati prosciolti o assolti. Ma quando hai qualcuno che è stato colto con la droga in tasca, o ferendo qualcuno, se non lo aiutiamo a guardare in faccia quello che ha fatto si perde l’opportunità di farlo uscire dal tunnel, e la legge diventa una barriera alla trasformazione

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