Per Tommy, 22 gennaio 1944

I disegni ritrovati di un padre per il compleanno del figlio nel Ghetto di Terezín
Cerimonia di commemorazione al campo di comcentramento di Terezin, in Repubblica Ceca. EPA/MATEJ DIVIZNA

Pubblicato da L’ippocampo, editrice leader nel settore dei libri illustrati per adulti e ragazzi, Per Tommy è un testo speciale. Speciale per dove è nato e per come è arrivato fino a noi. Tommy (Tomáš) era figlio di ebrei, internato insieme ai genitori nel Ghetto di Terezín (Repubblica Ceca). Il 22 gennaio 1944, data in cui compiva tre anni, papà Bedřich Fritta gli offrì in dono un libro fatto di cinquantadue suoi disegni a penna, pennello, inchiostro e acquerello pervasi di delicatezza e umorismo, con giochi, birichinate, viaggi sognati, ghiottonerie e futuri mestieri. Un regalo tenero e poetico, che per un giorno riuscì a squarciare le cupe atmosfere di quel campo di concentramento. Nell’ultimo disegno dedicato al figlio Bedřich aveva scritto: «Questo è il primo di una lunga serie di libri che voglio dipingere per te!». La morte purtroppo glielo impedì. Viene in mente il papà di origini ebraiche interpretato da Benigni nel film La vita è bella, che deportato con il figlioletto Giosuè in seguito alle Leggi razziali volute dal fascismo, per proteggere il piccolo dagli orrori del lager elaborò eroicamente per lui tutto un mondo di sbrigliate fantasie.

A narrarci la storia di Tommy e del suo prezioso libro illustrato, salvandolo così dall’oblio, è Hélios Azoulay, un artista poliedrico – scrittore, attore, compositore e clarinettista – che si esprime in opere di straordinaria libertà. Fra i suoi libri va segnalato Anche l’inferno ha la sua orchestra, sul tema della musica composta nei campi di concentramento, di cui Azoulay è uno dei più grandi interpreti insieme all’Ensemble de Musique Incidentale da lui diretto.

Ripercorriamo questa vicenda, iniziando dai luoghi. Terezín nasce tra il 1780 e il 1790 a 61 chilometri da Praga, all’interno del sistema di fortificazione antiprussiano, come città-fortezza voluta dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena e dedicata a sua madre Teresa. Famosa per esservi stato imprigionato durante la Prima guerra mondiale Gavril Princip, uccisore dell’erede al trono austroungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, dopo l’incorporazione della Cecoslovacchia nel Terzo Reich divenne nel 1941 un campo di concentramento per il fior fiore degli intellettuali ebrei mitteleuropei, pittori, scrittori e musicisti, con una forte presenza di bambini. Spacciato dalla propaganda nazista come insediamento ebraico esemplare, era in realtà un punto di smistamento di prigionieri da indirizzare soprattutto ai campi di sterminiodi Treblinka e Auschwitz.

Qui nel novembre 1941 viene deportato Bedřich Fritta (pseudonimo di Fritz Taussig), talentoso grafico e caricaturista di origini boeme per dirigervi l’Ufficio Disegni del Dipartimento tecnico: ciò che gli consente il privilegio di non venire separato dalla moglie e dal figlio, arrivati pochi mesi dopo. Nel gennaio del 1944 lavora al libro per Tommy, affrettandosi però a nasconderlo in seguito alla scoperta di disegni clandestini denuncianti la realtà più cruda del ghetto, tra i quali alcuni dei suoi. Arrestato e torturato per «propaganda menzognera» insieme ad altri quattro compagni di sventura, disegnatori come lui – tra loro Leo Haas, futuro padre adottivo di Tommy –, Bedřich si spegne ad Auschwitz di fame e malattia a soli 38 anni nel novembre dello stesso anno. Tre mesi dopo muore di tifo anche la moglie Johanna; del piccolo Tommy si prenderà cura Erna, la moglie di Leo. Il quale, sopravvissuto al lager, dopo la guerra ritrova fortunosamente, grazie alle indicazioni di Bedřich, oltre quattrocento suoi disegni murati in un granaio, insieme ad un piccolo libro rilegato con un pezzo di juta tagliato da un sacco di patate. Anni dopo, Leo consegnerà a Tommy, per i suoi diciotto anni, questo «miracolo di un infinito amore in uno stato d’emergenza. Un libro che appartiene al silenzio».

A lungo, nei suoi incubi notturni, il due volte orfano Tommy sognò la prigione, terrorizzato dal tintinnio del grosso mazzo di chiavi del guardiano e dal suo pastore tedesco. Racconta Azoulay: «Dopo la guerra aveva paura di tutti i cani, perfino di quei minuscoli cagnetti sempre scodinzolanti che di solito fanno la gioia dei bambini».

Finché visse, sposato e padre di quattro figli, Tommy si considerò un sopravvissuto in attesa del giorno in cui poter «piangere di tutto cuore». Questa la sua testimonianza a inizio libro: «La tragedia della mia esistenza è la tragedia di un fossile al quale, con il tempo, nessuno crede quando racconta cose che disturbano, spaventano, imbarazzano e fanno sentire la coscienza sporca. Sono vivo, ho avuto questa fortuna. Ma dove sono i miei genitori? Non posso vederli, amarli, odiarli, maledirli, coccolarli, mangiarci assieme, parlarci, litigarci. Sono stati costretti ad andarsene laggiù, dove non esistono ricordi. Non rimangono che i sogni: solo lì mi è concesso incontrarli. Si presentano con i volti che via via mi invento e scelgo. L’unica cosa che mi resti, che mi appartenga e che sia stata fatta solo per me è il mio libro, un libro di mio padre. È lì che lo sento: lui, le sue lacrime, la sua speranza, la sua paura».

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