Per crescere insieme

Due comuni montani piemontesi, Chiusa di Pesio e Ormea, scelgono di fare la loro parte nell'accoglienza dei migranti. E la comunità si convince della scelta giusta fatta da Ente Parco e Amministrazione comunale
migranti

L'unico vero problema qui sono le temperature. Inizia a far freddo. E loro, giovani trentenni provenienti dal Kenia, dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria, dal Gambia e dal Senegal, hanno bisogno di una maglia più spessa e di un giaccone. Perché nella valle Pesio al mattino ci sono tra gli 8 e i 13 gradi. La stessa temperatura che nei loro Paesi d'origine si registra nei mesi "più freddi" dell'anno. Siamo solo a ottobre e l'inverno qui deve ancora arrivare. Ma è chiaro che sarà meno difficile degli scorsi, passati a scappare dalle guerre civili e dall'assenza quasi totale di acqua e cibo. La speranza vince anche sull'aria gelida che scende dalle montagne dove l'Italia si unisce con la Francia.

 

Siamo venti chilometri a sud di Cuneo. In quella parte di Piemonte dove le Alpi incontrano il mare, verso la Costa Azzurra e dall'altro lato, la Liguria. Parco del Marguareis, Chiusa di Pesio, piccolo Comune al fondo della valle che prende il nome dal fiume che solca i versanti. È qui che Ermanno Erbì, commissario dell'Ente Parco ha messo in piedi un progetto che fa scuola. Piccoli pezzi di quel sistema di accoglienza che le aree rurali "insegnano" alla città. Piccoli passi. L'ha chiamato "Parco solidale", perché «la chiarezza – spiega – è determinante per andare oltre le paure». La solidarietà è sotto gli occhi di tutti. «L’iniziativa che abbiamo promosso coinvolge venti migranti in attività a favore della comunità che li ospita – racconta Erbì -. Questo grazie a una convenzione del nostro Parco naturale con la Prefettura di Cuneo». Da agosto, i profughi sono impegnati nelle attività di pulizia dei sentieri dell’area protetta, nella manutenzione delle aree attrezzate fra la Certosa di Pesio ed il Piano delle Gorre e in un supporto ai servizi di accoglienza turistica. «Così – riflette Andreino Ponso, medico, assessore di Chiusa di Pesio – i nostri cittadini hanno superato molte diffidenze. Oggi guardano quelle persone in modo diverso. Hanno capito che non sono un pericolo come qualcuno con molta demagogia voleva fare credere. Certo, non è stato semplice, non tutti hanno compreso. Ma abbiamo visto mutare l'atteggiamento della gente».

 

L'Ente Parco ha fornito agli aderenti al progetto delle adeguate calzature, una maglietta che li identifica come volontari del “Parco solidale” e «idonei ausili antinfortunistici», ci tengono a precisare dalla direzione. Incontrarsi, conoscere, comunicare, crescere sono i quattro pilastri del progetto. Gli stessi nei quali ha creduto Giorgio Ferraris, sindaco di Ormea, a pochi chilometri da Chiusa di Pesio. Alpi Marittime, dove non a caso si fa l'olio e si sente già il sapore del mare. Quando in paese si è sparsa la notizia dell'arrivo di una ventina di profughi nell'albergo del centro storico, i cittadini si sono mobilitati: «Al posto di avere quelle persone qui, compriamo noi l'hotel, al primo piano di un condominio», hanno detto. E la notizia ha fatto il giro d'Italia in poche ore, finendo in prima pagina e bollando Ormea come razzista. «Niente di più falso – spiega Giorgio Ferraris, quarant'anni di insegnamento come maestro elementare -. Con la mia Amministrazione abbiamo subito incontrato la comunità, parlato con i più dubbiosi e con i più rigidi non disposti ad accogliere. Abbiamo ragionato e ascoltato ciascuno, compreso l'albergatore che sarebbe stato disposto a ospitare i richiedenti asilo nella sua struttura ricettiva». Un dialogo complicato, con Ferraris e la sua maggioranza oggetto di molte critiche e non pochi fraintendimenti. Dai primi di settembre, quindici giorni difficili, sul filo. Anche della paura e delle incomprensioni. Poi, la svolta. «Per un paese turistico, gli hotel devono essere aperti e ospitare turisti – spiega Giorgio Ferraris -. Ma non ci siamo tirati indietro con la Prefettura. Anche Ormea deve fare la sua parte per l'accoglienza. Abbiamo proposto di utilizzare una struttura pubblica, la casa di risposo, che agevola sul piano logistico la gestione del gruppo di giovani richiedenti asilo. Così i ragazzi che arrivano dal cuore dell'Africa, grazie alla gestione pubblica, vengono assistiti da persone del luogo, da coetanei di Ormea che aiutano i migranti a imparare lingua e tradizioni. Nell'interesse di chi arriva e di chi accoglie, con un arricchimento, non materiale, reciproco». 

 

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